Il 24 agosto del 2016 una scossa di terremoto ha percorso in un lungo e devastante brivido il centro Italia. A quella prima scossa ne sono seguite altre. Il terremoto ha seminato morte e distruzione, questo lo avrete letto, così come avreste letto una favola lontana.
Io sono tornata a quei luoghi, luoghi che hanno visto sorgere il mito di Sibilla, non una ma molte volte dopo il terremoto. Ecco cosa ho visto: ho visto i giorni passare e i rovi invadere le macerie di Pescara del Tronto.
Ho visto nuove case costruite da mani straniere sorgere estranee al paesaggio e alla gente, che pure ci è entrata pur di avere un posto da chiamare casa.
Ho visto i giorni passare e nulla mutare.
Ho visto un caminetto dove qualcuno una sera mi aveva arrostito i funghi più squisiti che io avessi mai assaggiato solo e al freddo senza più mura intorno da scaldare.
Ho visto l’indifferenza di chi per mero calcolo economico ha deciso che non valeva la pena ricostruire nonostante le tante promesse. Chi sentirà la mancanza di piccole case di pietra e di qualche torre diruta?
Il miracolo della resilienza
Poi, pochi giorni fa, ho visto questo.
L’uomo può rendere il suo cuore di pietra e pensare che il Bello non serva e che quindi non debba essere salvato. Ma il Bello scandaloso e brutale di un fiore che nasce dove non dovrebbe, per tenere insieme con spine e profumo ciò che non dovrebbe più essere, mi ha ricordato che stare con i vincenti è facile per chiunque ed è tipico dei mediocri. Stare con le cose spezzate per dare loro la forza di tornare ad alzarsi è quello che voglio fare.
Io sto con questa piccola chiesa sorretta da un roseto impertinente e profano. Io sto con chi lotta anche se pensa che non servirà. Io sto con chi crede che sotto la montagna viva una grande maga che osserva e attende e sa che il Tempo è una ruota e che tutto attraverso esso muta e cambia forma, ma se ha radici profonde tornerà sempre a rinascere.
“Come il corpo anche l’anima può morire: dateci il pane ma dateci anche le rose” (James Oppenheim)