Le rappresentazioni artistiche sono forse la prima forma di comunicazione che l’Uomo abbia mai usato. Per quel che ne possiamo sapere, ancora prima di riuscire ad articolare suoni che assomigliassero a parole, l’essere umano ha sentito il bisogno di disegnare. Quando siamo bambini, l’espressione più istintuale che possediamo si concretizza con matite, pennarelli e colori. Questo potrebbe farci dedurre che, ancora prima che la scrittura, sia stato il disegno a raccontare la Storia.
Nel deserto del Sahara, quando non era un deserto
Difficile pensare al Sahara senza associarlo all’immagine di “deserto”. Eppure c’è stato un tempo, svariate migliaia di anni fa, in cui questa zona del Nord Africa era verde e lussureggiante. Se non bastassero gli studi di geologi e biologi a dircelo, ci sono anche delle affascinanti pitture rupestri rinvenute nel 1938 al confine tra l’Algeria e la Libia. La zona è quella dell’altopiano di Tassili-n-ajjer.
Questo luogo è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO e sito protetto, in quanto qui si trova una delle gallerie di arte a cielo aperto più incredibili che si possano immaginare. Un tempo sull’altopiano dovevano scorrere numerosi fiumi, e ancora oggi è una zona singolarmente ubertosa, pur trovandosi ai margini del deserto.
Henri Lothe (1903-1991) era un etnografo ed esploratore francese che, intorno agli anni Trenta, fu condotto da una guida tuareg presso le scogliere in arenaria di un fiume ormai prosciugato, quello che viene di solito chiamato wadi. Qui si trovò davanti ad uno spettacolo che lì per lì lo lasciò senza fiato. Centinaia, migliaia di disegni ricoprivano la roccia. Molte di quelle figure erano estremamente ben fatte, per niente “preistoriche”, e aprivano molti interrogativi nella testa dell’esploratore. Di certo, Lothe fu sopraffatto da tanta bellezza.
L’Arte per l’Arte
Infatti portò in quel luogo fotografi ed artisti, tra loro c’era anche un italiano. Questo gruppo di lavoro ebbe il compito di immortalare e ricopiare quei graffiti, dipinti fatti con tanta accuratezza da non poter essere liquidati come semplice “arte rupestre”. Attraverso i millenni, gli uomini che avevano abitato l’altopiano del Tassili avevano voluto lasciare traccia di ciò che era accaduto loro.
I primi dipinti, quelli più antichi, dovrebbero risalire a circa 8 mila anni fa. In questa immagini si trovano animali enormi, come elefanti e giraffe, che all’epoca popolavano il Sahara, ma anche uomini davvero curiosi. Ce ne sono di due tipi: alcuni di pelle bianca, altri di pelle più scura. Alcuni sono rappresentati con dimensioni maggiori rispetto agli altri. Alcuni in testa hanno caschi di forma rotonda.
Nel suo libro “The Search for the Tassili Frescoes: The story of the prehistoric rock-paintings of the Sahara “ pubblicato nel 1958 Lothe si pronuncia decisamente a favore dell’ipotesi aliena. Per lui quegli uomini indossano caschi spaziali e sono alieni provenienti da Marte. In seguito, gli etnografi invece hanno fatto risalire quello strano copricapo all’usanza di alcuni popoli nordafricani di seppellire i morti mettendo loro una giara in testa.
Ma anche prendendo per buona questa ipotesi, gli uomini raffigurati non sono per niente morti. Sono in piedi e collaborano con gli altri, figure che di solito hanno dimensioni minori. D’altro canto non è inusuale che le popolazioni antiche raffigurassero insieme defunti, viventi e divinità. Questo ha a che fare con una concezione olistica di tutto ciò che esiste che noi moderni abbiamo smarrito.
Quegli uomini di Tassili che vengono dall’Atlante
C’è un’altra ipotesi che è stata avanzata. Lo storico greco Erodoto parla del popolo degli “Atlanti“, che vivevano ai piedi della montagna Atlante (da cui il loro nome). Questa montagna non doveva identificarsi con l’attuale catena montuosa, ma con il massiccio dell’Ahaggar che si trova nel cuore dell’Algeria. Gli Atlanti dovrebbero essere gli antenati degli attuali berberi, che viaggiarono fino all’altopiano del Tassili e qui si mescolarono con la gente del posto.
Gli Atlanti potrebbero essere i discendenti dell’antico popolo di Atlantide, quello raffigurato in fogge singolari nelle pitture rupestri più antiche e ancora presenti in altre più recenti, che risalgono a circa 2000 anni fa. Gli ultimi disegni ritrovati a Tassili sono stati datati intorno al 400 a.C. fino a tempi più vicini a noi.
Curiosamente, i disegni più antichi sono assai più raffinati degli ultimi. Appare come se la cultura del posto avesse subito, insieme ai cambiamenti climatici che sono visibili mano a mano anche dal mutare della flora e della fauna rappresentati, una regressione. Come se gli abitanti di Tassili fossero entrati a contatto con una civiltà più evoluta che poi con il tempo, a sua volta, ha perduto il suo retaggio e la sua antica memoria.
Un’esibizione d’Arte senza precedenti, e senza eguali in seguito
Tra il 1957 e il 1958 Lothe espose le foto e le riproduzioni dei dipinti rupestri di Tassili al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Quella mostra fu definita dallo scrittore André Malraux “una delle più significative della metà del secolo”. Sono passati altri settant’anni da allora, e nessuno mai ha davvero letto fino in fondo quello che i disegni lasciati dai nostri remoti progenitori raccontano.
Osservando i dipinti rupestri che sono sopravvissuti a millenni di intemperie si ha la frustrante sensazione di aver perso un importante vocabolario, quello che ci permetterebbe di interpretare le figure senza fare congetture. Come per le linee di Nasca, il mistero è solo nella nostra testa. Il cervello umano ha perduto la capacità di capire ciò che un tempo era chiaro e lampante come la luce del Sole.
In quelle immagini ci sono persone che lavorano insieme: cacciatori, poi agricoltori, alcuni vestiti con copricapi piumati simili a quelli delle pitture delle popolazioni centro americane, altri con quei buffi caschi di forma tonda. Quelle immagini sono volontà di comunicazione, sono il racconto che il Sahara ha sussurrato mentre la vita lo abbandonava, facendolo diventare deserto.
Ma il Sahara non è sempre stato un deserto. Né il mondo è sempre stato come lo conosciamo oggi, ed è importante ascoltare le parole raccontate da chi lo ha conosciuto prima di noi. Scritte o disegnate che siano.