Percy Fawcett è stato il più noto “archeologo dell’avventura” di sempre. La sua storia si è purtroppo conclusa con la sua scomparsa. Ma davvero si è conclusa? In realtà, qualcuno ha tentato di proseguirla. Se con successo o meno, lo vedremo.
Sulle tracce del prozio Percy
La nostra storia comincia quando Timothy Paterson, pronipote del grande esploratore Percy Fawcett, decise di voler fare chiarezza sulla misteriosa scomparsa di suo zio. La parentela di Timothy derivava da parte di Nina, la moglie di Fawcett. Tra i Paterson e i Fawcett non correva buon sangue perché Timothy aveva idee tutte sue sul prozio, che espresse nel libro “Il tempio di Ibez”.
Per via di queste incomprensioni a Timothy non fu mai concesso di consultare i diari di viaggio di Fawcett. Dovette dunque basare le sue congetture sulle testimonianze di chi lo aveva conosciuto. Nel 1978 decise di recarsi in Mato Grosso per cercare personalmente tracce del suo perduto antenato.
Qui rimase stupito dal fatto che gli indigeni ricordassero ancora molto bene il prozio Fawcett. Non solo: c’era un uomo in particolare, molto anziano, che sosteneva che la statuetta posseduta da Fawcett, quella raffigurante un uomo che teneva in mano una tavola con lettere incise, provenisse da un tempio nascosto nella foresta. C’era un muro di basalto ad impedire l’accesso, oltre il quale si celavano i resti di una civiltà antichissima.
La particolarità del lavoro portato avanti da Paterson è che egli teneva conto del fatto che la ricerca della perduta città di Z (che si pronuncia “Zed” in inglese) non si era mai svolta solo su un piano puramente fisico. Fawcett si serviva di medium e guide spirituali per entrare in contatto con un mondo che, se era perduto dal punto di vista materiale, esisteva ancora in una qualche altra dimensione.
Paterson e Pincherle
Mario Pincherle è stato uno dei più famosi studiosi dei misteri egizi in Italia. Morto nel 2012, ci ha lasciato molti scritti interessanti, nessuno dei quali però supportato da dati dimostrabili. Paterson entrò in contatto con Pincherle al fine di mostrargli il disegno della statuetta che il suo prozio riteneva fosse la chiave della mitica città perduta di Z. Pincherle decifrò quei segni.
Secondo lui si trattava di un alfabeto antichissimo, da cui poi era derivato quello fenicio. Doveva essere antecedente al diluvio universale: forse era l’alfabeto di Atlantide, da cui erano derivati quelli successivi. La statuetta però ha avuto anche un’altra attribuzione. Studiando le numerose similitudini di vestiario, atteggiamento, e anche delle iscrizioni, alcuni studiosi hanno anche avanzato l’ipotesi che la figura rappresentata sia un dignitario del Mali.
Com’è possibile che un manufatto africano si trovasse in Brasile? Gli studiosi sostengono che degli esploratori malesi potrebbero aver navigato il fiume Niger fino al Golfo della Guinea. La corrente della Guinea li avrebbe trasportati fino all’Oceano Atlantico, all’incontro con la corrente Sud Equatoriale. La quale avrebbe portato gli esploratori fino al Brasile.
Un lungo viaggio davvero. E se invece le civiltà brasiliane e quelle malesi fossero entrambe eredi di una stessa civiltà collocata al centro dell’Oceano Atlantico? Invero, potrebbe essere una spiegazione altrettanto convincente. Anche perché c’è la questione delle piramidi e del loro “Zed”.
Lo Z brasiliano, lo Z egizio
Perchè Fawcett chiamò la città che cercava “Zed”? Non ho trovato una spiegazione di ciò in nessun libro che io abbia consultato. Curiosamente questo termine è lo stesso che Pincherle usa per descrivere quello che, secondo lui, sarebbe il cuore della grande piramide di Cheope: una costruzione preesistente intorno alla quale sarebbe stato poi realizzato il resto della piramide. Questo sarebbe confermato dalla Stele dell’Inventario, che dice chiaramente come Cheope si limitò a “ristrutturare” edifici già esistenti.
Lo Zed, o Djed, è in realtà un simbolo che rappresenta la divinità Osiride, forse uno dei più sacri per gli egizi. La costruzione che si troverebbe nel cuore della piramide ha la stessa forma, ingloba la cosiddetta “Camera del Re” e presenta caratteristiche proprie che la distinguono dal resto della costruzione a partire dal materiale.
Per Pincherle lo Zed è un enorme accumulatore di energie che, in una particolare condizione di allineamento cosmico, sarebbe in grado di aprire le porte dello spazio tempo. Chi ha passato del tempo nella Camera del Re (lo stesso Pincherle e, si vocifera, addirittura Napoleone) ha raccontato esperienze strane e sconvolgenti.
Nella perduta città di Z, secondo Paterson, Fawcett cercava qualcosa di simile. Uno “Zed”, un accumulatore di energie, dispositivi che erano stati costruiti molti millenni prima di lui. Fawcett conosceva bene le teorie della società Teosofica e le condivideva. Credeva che la città perduta fosse retaggio di una civiltà antichissima, forse nemmeno Atlantide ma Mu, o forse una civiltà precedente ancora, che era stata in grado di costruire meraviglie da lasciare ai posteri.
Fawcett ha trovato Z
La conclusione a cui è giunto Paterson, che è morto nel 2005, è semplice e sconvolgente nella sua semplicità. Il suo prozio è arrivato al grande muro di basalto di cui gli aveva parlato il vecchio indigeno. Grazie alla purezza dei suoi intenti, quel varco si era aperto per lui, trasportandolo in un’altra dimensione, quella condivisa dagli Zed. Non a caso, le ultime parole che Fawcett scrisse a sua moglie Nina furono le seguenti
You need have no fear of any failure ….
Non devi temere alcun fallimento….
Cercare la città di Z è come cercare il Graal, ha detto Timothy Paterson in un’intervista rilasciata poco prima di morire. Bisogna prepararsi materialmente e spiritualmente, se si vuole ambire alla vittoria.
Dunque, semplicemente, l’umanità non è ancora pronta a scoprire la verità che si cela dietro i molti misteri delle giungle del Mato Grosso, del centro Africa, e nelle profondità dell’Oceano. Ma coloro che hanno cuore puro possono comunque continuare a cercare, e chissà che per loro una porta non venga aperta.