Chi scrive dispone di un certo potere magico: il potere dell’immortalità. Ciò che un uomo scrive vive dopo di lui, spesso sopravvive attraverso i secoli. A tutti gli effetti, la scrittura è uno dei pochi elisir di lunga vita che ad oggi realmente possediamo. C’è stato uno scrittore che più di tanti altri ha padroneggiato questo particolare tipo di “magia”: Edgar Allan Poe.
Volli vivere di Scrittura
Nato da genitori che facevano vita di strada e che morirono quando non aveva che due anni, Edgar visse come orfanello in seno ad una famiglia che non lo adottò mai formalmente (anche se lui ne assunse il cognome, Allan). Da ragazzo, per sopravvivere, intraprese la carriera militare. Poi, fece una scelta coraggiosa: scrivere e vivere del suo scrivere.
Siamo agli inizi dell’Ottocento e le cose non stavano tanto diversamente che oggi: pensare di campare solo con l’arte era poco più che una mera illusione. Chi scriveva di solito aveva un’altra occupazione che gli garantiva il pane in tavola. Non Edgar, che volle provare a vivere del suo lavoro di scrittore. Invano, ovviamente.
Visse in povertà e morì ancora più povero. Ebbe un’unica ricchezza, sua moglie Virginia, che andò in sposa giovanissima (non era neppure maggiorenne) e morì poco dopo per tubercolosi. Edgar la amò alla follia, e tutte le figure femminili della sua opera, in un modo o nell’altro, la celebrano.
Morì in un Mistero
Ancora oggi la fine dello scrittore resta un enigma: fu ritrovato in strada, in stato confusionale, in una città dove non doveva essere. Non tornò mai in sé, continuò a ripetere un nome sconosciuto, e morì qualche giorno dopo. Aveva appena quarant’anni, e se ne volle andare avvolto dal mistero che aveva celebrato nei suoi scritti. I necrologi che furono redatti per lui non ne dipingevano un ritratto lusinghiero. Le sue opere in poco tempo divennero dei best seller.
Come se la pubblicità negativa che il suo editore gli aveva voluto tributare avesse in realtà fatto da amplificatore, improvvisamente racconti, poesie e romanzi attrassero la curiosità morbosa della gente. Oggi Edgar Allan Poe è celebrato come uno dei scrittori gotici migliori di sempre, il capostipite del genere, ispiratore di altri illustri colleghi come sir Arthur Conan Doyle.
Anche se non lo sai, quando guardi un film dell’orrore, o leggi un romanzo di ambientazione fantasy, probabilmente la maggior parte di quello che ti viene presentato affonda le sue radici nell’opera omnia di Poe. Anche se visse pochi anni, produsse tantissimo: e oggi noi abbiamo la fortuna di poter leggere tutte le sue creazioni.
Poe indagò soprattutto gli oscuri meandri dell’animo umano: le paure inconsce, i sensi di colpa, l’istinto all’autodistruzione, la volontà di vendetta, il terrore della morte. E non a caso scelse come suo animale totem il corvo (the raven).
Il Corvo (The Raven)
In inglese esistono due termini per indicare il corvo: “crow” e “raven”. Non sono esatti sinonimi: “crow” indica tutta la famiglia dei corvi, mentre “raven” indica delle specie più specifiche, quelle con gli esemplari più grandi, dalle piume più nere. Proprio il colore del piumaggio ha conferito nei secoli a questi uccelli un significato simbolico ambiguo, spesso negativo.
Se per la nostra tradizione il corvo è “l’uccellaccio del malaugurio” (di solito si accompagna alle streghe con il gatto nero e simboleggia il demonio) nella cultura celtica e nordica in generale questo volatile ha una statura ben più elevata. Era l’animale prediletto dal dio Lugh e significava la preveggenza, la lungimiranza. Allo stesso tempo, però, era associato alla morte, non come simbolo di sventura, ma come traghettatore di anime da un mondo all’altro.
Una delle poesie più note di Edgar Allan Poe si intitola “The Raven”. Nel componimento il verso gracchiante dell’animale si traduce in una parola, “nevermore” (mai più). Non si può negare che la poesia sia angosciante, che trasmetta il senso di desolazione interiore che il protagonista prova per la morte della donna amata (forse da lui stesso uccisa). Ma anche qui il corvo è soprattutto compagno di viaggio, colui che porta l’Uomo dalle Tenebre alla Luce della consapevolezza.
La Preveggenza dello Scrittore
Chissà cosa accadde ad Edgar Allan Poe nelle ultime ore della sua vita: come in uno dei gialli che lui stesso scrisse, il mistero è fitto e forse non verrà mai sciolto. Ma in fondo non è molto importante. Ogni scrittore è anche un po’ profeta e veggente: forse lui aveva già visto e per questo aveva affastellato parole su parole sui fogli di carta. Scrivere non era un modo per guadagnarsi da vivere: scrivere per lui era vivere.
Ecco perché ognuno di noi oggi tra le sue pagine può trovare un’indicazione per il futuro, come in un oroscopo. Poe aveva il dono della preveggenza, il suo sguardo poteva penetrare le nebbie del tempo e soprattutto dissipare le nebbie che avvolgono il cuore dell’uomo. Quel “nevermore” ripetuto non è, in fondo, assenza di speranza: forse è una promessa, la promessa che il dolore che attraversiamo su questa terra non sarà “mai più”, e che da questa forgia usciremo purificati, migliori, e liberi.
Come la sua anima, che oggi sopravvive tra le pagine dei suoi libri.
P.S. Se ti è venuta voglia di leggere qualcosa di Poe, puoi trovare molti dei suoi racconti in libreria editi dalla Newton Compton o dalla BUR. Quelli che ti consiglio? “Discesa nel maelstrom”, “Il pozzo e il pendolo”, “Il gatto nero” e, ovviamente, “L’isola della fata”.