Le persone che sostengono l’esistenza di continenti ritenuti dai più leggendari, come Atlantide o Mu, vengono spesso accusati di non avere sufficienti prove a sostegno delle loro teorie. Così è, di fatto. Ma la domanda deve essere: perché queste prove non ci sono? Da un lato, c’è l’innegabile gran quantità di tempo che ci separa da tali civiltà (qualora siano esistite). Dall’altro, c’è la possibilità che tali prove, qualora emergano, vengano taciute affinché non ne abbiano a soffrire le tesi ufficiali della storiografia e dell’archeologia. Cerchiamo di scoprire alcune verità nascoste: esistono prove dell’esistenza di Mu?
I resti di Mu rinvenuti dalla “Anton Bruun”
Riportiamo prendendo spunto dalle approfondite indagini portate avanti da Jack Churchward, pronipote di James Churchward, il colonnello inglese che scrisse svariati libri sull’esistenza di un “continente madre” nell’Oceano Pacifico, chiamato Mu. Le prove portate dal colonnello riguardano alcune testimonianze scritte da lui rinvenute e decifrate, purtroppo poi andate perdute (le tavolette Nacaal). Le deduzione che trae nei suoi scritti, però, restano ancora oggi validissime.
Nel 1965 fu condotta una spedizione nell’Oceano Pacifico al largo delle coste peruviane. Di quella spedizione si trova ancora oggi traccia nelle testate giornalistiche dell’epoca. Raccontando di quella spedizione, Joan T. Griffith (figlioccia di James Churchward) dice che in un articolo del New York Times del 1966 era possibile trovare testimonianza di un’eccezionale scoperta fatta in quel frangente.
Pare che sul giornale si raccontasse della spedizione sulla nave di ricerca “Anton Bruun”, condotta dal dottor Robert J. Menzies in qualità di direttore del programma di ricerca oceanografica della Duke University. Si riporta che la spedizione avesse trovato, a circa 2 chilometri di profondità al largo delle coste del Perù, alcune colonne intagliate con geroglifici. Il sonar aveva inoltre evidenziato la presenza di altri oggetti sul fondale marino, forse edifici.
Negli archivi attuali del New York Times non si trova più traccia di questa testimonianza. Se ne trovano però svariate altre su testate giornalistiche minori, dove però non si riporta la notizia con assoluta certezza. Si dice che i ricercatori avevano evidenziato la “possibilità” di presenza di colonne intagliate. Il professor Menzies si era limitato a dire che valeva la pena di approfondire la questione, e che si riprometteva di tornare sul luogo con un sottomarino.
Altri dettagli interessanti
C’è un articolo, che risale sempre al 1966, che sembra approfondire la questione più degli altri. Uscì sul giornale “Battle Creek Enquirer” del Michigan e approfondisce alcune dichiarazioni del professor Menzies, che si sbilanciò in merito alle scoperte fatte a bordo della “Anton Bruun”. Nell’intervista afferma che forse i terremoti, frequenti nella regione delle esplorazioni, e le eruzioni vulcaniche, potevano aver causato l’inabissarsi di una città.
Questo particolare non sembra essere citato da nessun’altra fonte. Che sia stata un’infiocchettatura del giornalista, che voleva vendere qualche copia in più? Forse: ma sta di fatto che le straordinarie scoperte (per quanto tutte da approfondire) fatte dalla spedizione del professor Menzies trovano eco in molti altri articoli di tono simile. Si parla spesso soprattutto di “animali sottomarini” pressoché sconosciuti, che potrebbero aver dato origine alle leggende sui mostri subacquei.
Assieme a queste creature misteriose, si dice che le foto sottomarine sembrano aver immortalato anche “colonne forse costruite da mano umana”. La località è sempre la stessa: i fondali marini al largo delle coste peruviane, vicino alla fossa di Atacama, nell’Oceano Pacifico. Appare però chiaro che tutti coloro che parlano della spedizione della nave-studio Anton Bruun preferiscono glissare sulla possibile presenza di una città sprofondata nel mare, mentre tutti concentrano l’attenzione su queste strane bestie sottomarine.
Sono solo poche le testate giornalistiche che spaziano oltre. Menzioni della “città sommersa” si trovano sul Rocky Mount Telegraph e il Salt Lake Tribune. I maggiori dettagli vengono forniti in un pezzo apparso sul Waco News-Tribune. Qui si parla esplicitamente di due colonne, ognuna di mezzo metro di diametro, che emergono dal fango per circa un metro e mezzo di altezza. Oltre a queste due colonne, ancora erette, ce ne erano anche altre due cadute ad oltre 100 chilometri dalla costa.
Conclusioni
Ricostruendo il percorso giornalistico, quindi, appare chiaro che i primi articoli apparsi sulla spedizione della nave “Anton Bruun” cercano di focalizzare l’attenzione sui “mostri marini” avvistati in tale occasione. Poi però, poco alla volta, emergono sempre maggiori dettagli sui resti di una possibile civiltà pre-incaica, che doveva essere esistita un tempo là dove ora non c’erano altre che onde e acqua di mare.
Ci si potrebbe chiedere perché la cosa, che lo stesso professor Menzies definì molto interessante, preludio a scoperte incredibili, non abbia avuto seguito. Altra domanda che è legittimo porsi, è come abbia potuto una larga porzione delle coste di Però e Cile sprofondare nell’Oceano. Anche se in questa zona del globo l’attività tellurica è elevatissima, ciò non costituirebbe una spiegazione sufficiente.
Quello che sappiamo, invece, è che lo spostamento della placca di Nazca ha dato vita alla fossa di Atacama secondo un processo chiamato “subduzione”. La subduzione comporta lo scorrimento di una placca sull’altra, e il conseguente inabissarsi ( o sollevarsi) di porzioni di superficie terrestre. Detto altrimenti, è più probabile pensare che un’intera zolla tettonica si sia inabissata, piuttosto che ipotizzare che una sola parte di costa sia sprofondata.
Resta il dilemma maggiore: perché una scoperta che poteva essere tanto importante non ha mai avuto seguito? Se oltre a quelle colonne ci fossero davvero stati altri resti di una civiltà umana che un tempo aveva visto la luce del sole ma poi, per qualche motivo, era finita sul fondo dell’Oceano, non sarebbe stato difficile riportarli a galla e studiarli. Eppure, nessuno lo ha mai fatto, o a noi non ne è arrivata notizia.
Le orme dei padri
Jack Churchward continua a portare avanti il lavoro del suo avo: gran parte del materiale per questo articolo è infatti tratto dal suo blog, My Mu, consultabile a questo indirizzo. Il suo impegno deve essere sostenuto da ogni persona che non ama fermarsi alla superficie, che si fa delle domande e che vuole scende fino al cuore delle cose. Che vuole scendere fino sul fondo dell’Oceano, dove si celano probabilmente le più grandi verità, quelle che nessuno ha ancora avuto il coraggio di affrontare.