I monumenti del passato ci affascinano perché sembrano raccontare storie che altrimenti sarebbero andate perse. Purtroppo, però, molto spesso siamo impossibilitati ad interpretare correttamente queste storie. La nostra tendenza è quella di manipolare ciò che troviamo affinché abbia il senso che intendiamo dargli noi. Parliamo di delocalizzazione: ha senso spostare qualcosa dal luogo in cui è stato concepito nel nome della sua “conservazione”? Eppure questo è stato fatto alla Stonehenge del mare, Seahenge. Il suo misterioso significato ci sfugge ancora oggi.
La Stonehenge del mare
Tutti conoscono la celeberrima Stonehenge, il cerchio di pietre il cui preciso scopo ancora sfugge ad archeologi e studiosi. Un po’ meno nota, almeno al di fuori dei confini nazionali, è invece la cosiddetta “Seahenge”. Ha preso questo nome per assonanza ma, a dire il vero, con Stonehenge ha in comune solo il fatto che assume la forma di un cerchio. Per il resto, si crede non sia neppure un “henge“, ovvero un’opera di edificazione vera e propria.
Seahenge venne scoperta nel 1998 in modo del tutto fortuito. John Lorimer si trovava sulle spiagge del Norfolk, in Inghilterra, e più esattamente vicino alla cittadina di Holme-next-the-sea, a pescare gamberetti. Era bassa marea e le spiagge, da quelle parti, assumono un aspetto peculiare. Il fondale sabbioso torna in superficie, insieme a tutti i suoi tesori. Così il signor Lorimer aguzzava la vista, sperando di adocchiare qualcosa di interessante come era già accaduto in passato.
Di certo non poteva sapere che era sul punto di diventare il protagonista di una delle più interessanti scoperte archeologiche degli ultimi trent’anni. Di lì a poco, infatti, notò un tronco d’albero rovesciato. Lì per lì non sembrava nulla di eccezionale: gli Anglosassoni usavano le radici come trappole per i pesci. Ma poi si è accorto che quel tronco rovesciato era parte di un complesso più ampio. Così decise d chiamare qualcuno che si intendesse di cose simili.
Di fatto, il tronco era appartenuto ad una quercia, che costituiva il centro di Seahenge. Attorno erano stati disposti 55 tronchi d’albero, tagliati a metà, con la parte ricurva rivolta verso l’esterno e quella piatta rivolta verso l’interno. I tronchi tagliati formavano un cerchio di circa 6/7 metri di diametro, che presentava un’entrata. Ogni tronco affondava nel sottosuolo per circa un metro. Il tutto aveva un’aria molto, molto antica.
Seahenge e perché venne costruita
Man mano che la notizia rimbalzava da un giornale all’altro, venne coniato il nominativo di “Seahenge”. Gli studiosi intanto si affannavano per cercare di capire qualcosa in più. Datare il cerchio fu facile, visto che era fatto di legno. Grazie alla dendrocronologia si capì che era stato costruito nel 2049 avanti Cristo, e che quindi era vecchio di 4000 anni. Ma come aveva fatto a conservarsi così a lungo, essendo fatto di un materiale deperibile e non di roccia?
La risposta a questo quesito venne trovata facilmente. Seahenge, quando era stato costruito, si trovava sulla terraferma. Una zona paludosa, di certo, ma ricca di vegetazione (prevalentemente ontani). Poi il mare era avanzato, la palude era diventata un acquitrino e le piante si erano trasformate in torba. La torba, insieme alla salinità del mare, aveva permesso ai tronchi di conservarsi per tutto quel tempo. Quanto in profondità si trovassero in origine, non è dato saperlo.
C’è però un altro quesito a cui ancora non è stata trovata una risposta definitiva , ed è lo scopo per cui Seahenge venne costruita. La prima ipotesi, quella tuttora più accreditata, è che fosse un luogo di sepoltura dove veniva praticata la scarnificazione dei cadaveri. Questa pratica a noi sembra raccapricciante, ma era largamente praticata nelle terre britanniche durante l’Età del Bronzo.
Il corpo del defunto veniva lasciato esposto sul tronco centrale, accolto tra le sue radici. Gli uccelli rapaci e gli animali predatori si nutrivano delle sue carni, lasciando solo le ossa. Questo consentiva al defunto di tornare alla natura, libero dalla sua carne mortale. Un’altra ipotesi è che fosse un luogo sacro, rituale. Circa la grande importanza del cerchio, e la sacralità del suo spazio, non ci sono dubbi.
Conservare o profanare
Quasi subito studiosi e archeologi accorsi a Holme si posero un grave problema. Adesso che il mare non proteggeva più Seahenge, il contatto con l’aria (per non parlare della folla di curiosi e visitatori che giungeva ogni giorno) avrebbe ben presto deteriorato il fragile legno dei tronchi. Quasi immediatamente si decise che la struttura doveva essere spostata altrove, dove avrebbe potuto essere tutelata a dovere.
Questa decisione però, dettata dalle migliori intenzioni, non piacque a tutti. Molti si sollevarono in difesa di Seahenge, che doveva restare dov’era pena la profanazione di un luogo che un tempo aveva rivestito un grande significato per chi abitava quelle terre. Furono soprattutto Neo Pagani, sostenitori dei nuovi culti Druidici, che erano convinti che Seahenge non fosse un luogo di sepoltura ma un tempio sacro dove si eseguivano importanti rituali.
Le loro proteste, che giunsero fino alla resistenza fisica, non servirono a molto. I tronchi vennero rimossi e portati al Lynn Museum di King’s Lynn. Qui sono stati sottoposti ad un trattamento con acqua e cera, e ancora oggi si possono osservare, tenuti sotto vetro. Pare che questa emulsione servirà a garantire loro l’immortalità. Se invece fossero stati lasciati dov’erano… chissà. Il problema è stato che qualcuno li aveva ormai visti. Altrimenti il mare li avrebbe ricoperti di nuovo.
La “sorella subacquea” di Stonehenge adesso è praticamente sotto formaldeide, come un grosso insetto da osservare. Ancora oggi ci si interroga circa l’opportunità della scelta fatta: ha davvero senso voler preservare a tutti i costi qualcosa che, per il naturale andar delle cose, è destinato a scomparire? Soprattutto: ha senso voler far sopravvivere qualcosa che per noi, ormai, non significa più niente?
Cos’era Seahenge
Seahenge ha rivestito un’importanza determinante per coloro che l’hanno costruita, ne siamo certi. Vennero impiegate delle asce di bronzo per tagliare gli alberi, e all’epoca erano molto rare. Quasi certamente vennero importate da territori vicini. Probabilmente Seahenge venne eretta per un’occasione particolare, e poi, nei secoli a venire, divenne un luogo di ritrovo collettivo.
Possibile che fosse solo una sorta di “camera sepolcrale” a cielo aperto? Non è forse curioso che sia l’equivalente di una costruzione simile (e simile a molte altre sparse in tutta l’Inghilterra, e non solo) ma che sia finita sotto il livello del mare? Quante altre cose ci sono là, sotto l’acqua, sotto l’Oceano? Queste sono solo domande oziose: perché nessuno cerca davvero una risposta.
Detto che Seahenge “è un importantissimo ritrovamento archeologico”, che “ci aiuta a gettare luce sul modo in cui vivevano i nostri antenati”, non ci sembra però che si sia fatto alcuno sforzo per rispettarli, quegli antenati. Cosa ce ne facciamo noi di pochi pezzi di legno consunti, non sarebbe stato meglio lasciarli all’abbraccio del mare e alla memoria di chi li ha creati, custoditi, amati?
Queste forse sono solo divagazioni romantiche, ma è certo che la scienza attuale tende a vivisezionare e non più a cercare di capire. Tutti i reperti del mondo non serviranno a farci comprendere davvero da dove veniamo, e che percorso abbiamo fatto per giungere ad oggi, se nessuno fa uno sforzo per mettere insieme gli indizi. Quel cerchio subacqueo di 4000 anni fa magari è parte di una storia ancora più antica, ancora tutta da raccontare.