C’è una roccia, negli USA, che da secoli continua ad appassionare gli studiosi di ogni parte del mondo. La chiamano la roccia di Dighton, dal nome della località in cui è stata rinvenuta. La sua peculiarità è il fatto di essere ricoperta da curiosi petroglifi. Nessuno infatti è riuscito a capire con certezza assoluta che cosa dicano. Ma il fatto ancora più anomalo è che le interpretazioni che sono state date nel corso di oltre tre secoli sono l’una molto diversa dall’altra. Cerchiamo di sollevare il velo di mistero che avvolge la roccia di Dighton, che nessuno è mai riuscito a leggere.
La roccia di Dighton
La roccia di cui stiamo parlando, di per sé, non sembrerebbe molto diversa da molte altre. La sua forma è comunque curiosa, in quanto possiede sei facce. Misura 3,4 metri di lunghezza e 1,5 metri di altezza, mentre è larga quasi 3 metri. La pietra di cui è composta è ardesia, e si trovava originariamente nel greto di un fiume, il Taunton River. Si pensa che sia scivolata lì a seguito dello sciogliersi dei ghiacciai che ha posto fine all’ultima grande glaciazione.
Il masso pesa circa 40 tonnellate e quando si trovava nella sua collocazione originale (visto che oggi è stato spostato) veniva spesso ricoperto dall’acqua della marea. Si trova nello stato del Massachusetts, a qualche chilometro da Berkley, Plymouth e Boston, nonché dall’Oceano. Qualcuno dice che sembrava messa lì pronta ad accogliere chi fosse appena sbarcato e avanzasse verso l’entroterra. La sua inclinazione è di 70 gradi verso nordovest.
La roccia di Dighton ha la particolarità di essere ricoperta, su almeno uno dei suoi sei lati, da iscrizioni che non sembrano appartenere a nessun alfabeto conosciuto. Anzi, a dirla tutta le iscrizioni non sono lettere quanto più petroglifi, ovvero disegni incisi nell’arenaria. Il primo a notarli, almeno a quel che la storia ci ha tramandato, fu il reverendo John Danforth nel 1680. Lui ricalcò fedelmente le iscrizioni, e il disegno che fece oggi è conservato presso il British Museum.
Prime interpretazioni dei petroglifi
Danforth diede la sua interpretazione senza esitazione. Secondo lui quelle figure erano state disegnate dagli antenati dei Nativi Americani e raffiguravano una storia. Nella storia si parlava di una nave, priva di albero, approdata non distante da quel luogo. Lì, in seguito, si era svolta una grande battaglia fra i nuovi arrivati e i residenti. La cosa buffa è che i disegni fatti dal reverendo non sembrano corrispondere a quelli presenti attualmente. Però è anche vero che molti petroglifi si sono dissolti con il tempo, o sono stati danneggiati.
Pochi anni dopo arrivò la prima smentita. Nel 1689 un altro ecclesiastico, il reverendo Cotton Mather, diede una sua personale interpretazione della roccia di Dighton pur senza averla vista, a quel che pare. Lo fece nel corso di un’omelia in cui affermò con sicurezza che le iscrizioni dovevano essere opera di qualche adoratore del demonio. Ma questo non è che l‘inizio di una lunga storia, perché da allora molte altre ipotesi sono state avanzate, centinaia di libri sono stati scritti, senza però che nessuno sia mai riuscito a cavare un ragno dal buco.
Altre interpretazioni dei petroglifi
Facciamo un salto temporale e arriviamo al 1767, quando Ezra Stiles fu il primo a sostenere una tesi molto popolare, ovvero che la roccia fosse stata scolpita dai navigatori fenici. I petroglifi non dicevano nulla di speciale, erano solo una testimonianza del passaggio di quel grande popolo di navigatori. Questa teoria venne sostenuta e approfondita da uno studioso francese, Antone Court de Gebelin. Qualche anno più tardi, nel 1807, anche Samuel Harris, Jr., ricercatore di Harvard, confermò questa versione.
Nel 1789 persino George Washington, considerato uno dei padri della nazione americana, disse la sua, sostenendo che secondo lui la roccia era stata incisa dai Nativi Americani. Ma nel 1831 Ira Hill, un maestro del Maryland, disse un’altra cosa ancora. Affermò che la roccia di Dighton era stata scolpita dagli appartenenti ad una spedizione di Ebrei e abitanti di Tiro mandati dal Re Salomone in persona, così come descritto dalla Bibbia.
Arriviamo al 1837, quando fu avanzata l’ipotesi vichinga. Secondo Charles Christian Rafn, che scrisse un lungo documento in merito, i petroglifi raccontano l’arrivo di un gruppo di navigatori norreni che rivendicano il possesso di quella terra. Questa teoria però è stata largamente confutata. Siamo a metà del XIX secolo e ancora, rispetto al mistero celato dalla roccia di Dighton, si brancola nel buio.
Cinesi, Portoghesi o…?
L’ultima teoria avanzata è molto recente e risale al 2002, quando Gavin Menzies disse che secondo lui le iscrizioni erano testimonianza dell’arrivo dei cinesi in America. Ma la teoria che maggiormente ha conquistato i ricercatori è quella proposta da Edmund Burke Delabarre nel 1912. Delabarre era un professore di psicologia e fu lui a ravvisare nelle incisioni presenti sulla roccia di Dighton la testimonianza del passaggio dell’esploratore portoghese Miguel Corte-Real, la cui presenza nelle Americhe è realmente testimoniata nel 1511.
Ad oggi questa sembra l’ipotesi più accreditata, ma fa obbligo annotare una cosa. Prima di giungere a questa conclusione Delabarre ne aveva sostenuta una ben diversa. Aveva infatti affermato che i petroglifi della roccia di Dighton non avevano alcun senso: o meglio, lo avevano nella misura in cui dovevano servire a suscitare nella mente dell’osservatore diverse associazioni libere. Detto in parole più povere, chi guardava poteva vederci ciò che il suo inconscio gli suggeriva.
Lui paragona i disegni alle macchie di Rorschach, salvo poi rimangiarsi tutto con l’ipotesi portoghese. Come abbiamo detto, in seguito sono state avanzate altre ipotesi. Nessuno mai è riuscito a giungere ad una conclusione definitiva che mettesse d’accordo tutti. L’unica cosa che sembra fuor di dubbio e l’autenticità delle iscrizioni, e il fatto che siano molto vecchie.
Oggi la roccia di Dighton si trova in un museo a lei dedicato, visto che fu rimossa dal luogo in cui si trovava originariamente nel 1963. Continua a tenere ben stretto il suo segreto, quello di un linguaggio sconosciuto che assomiglia a tanti altri ma che ha caratteristiche sue proprie. Chissà che quei segni non siano più antichi di quanto non si creda. Chissà che non siano stati lasciati da una civiltà alla cui esistenza solo in pochi vogliono credere.
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