Quando parliamo di piramidi, il pensiero corre subito alla piana di Giza e alle piramidi egizie, di forma triangolare. Sappiamo però ormai che di piramidi è pieno il mondo: le possiamo trovare un po’ ovunque, con qualche variante ma sostanzialmente con la stessa struttura cuspidale. Una piramide poco nota, perché scoperta solo pochi anni fa, è la piramide di La Manà in Ecuador. Il suo ritrovamento apre prospettive a dir poco rivoluzionarie.
La piramide nera e l’occhio
Tutto ha inizio nel 1984, quando un gruppo di minatori guidati dall’ingegner E. Guillermo Sotomayor fece una scoperta che esulava dalle ricerche che stavano conducendo. L’obiettivo dei minatori era l’oro: scoprirono invece un tunnel sotterraneo nella zona di La Manà, in Ecuador. Esplorando il passaggio, vennero ritrovati numerosi manufatti (oltre 300) che destarono vivo interesse nella comunità archeologica. Ancora oggi molti di questi artefatti restano un mistero, tale che li possiamo classificare come OOPArts.
L’oggetto che più degli altri attirò l’attenzione era una piccola piramide di colore scuro, alta circa 25 centimetri. Le peculiarità della piramide sono parecchie. In primis, nel Sud America le piramidi sono a gradoni. Invece l’artefatto sembrava raffigurare in miniatura proprio una piramide egizia. Inoltre aveva alcune curiose incisioni sopra: la prima, la più evidente, è un grande occhio sulla sommità. Il simbolo dell’occhio è ben noto e risale all’alba dei tempi.
Sulla base, inoltre, c’erano delle incisioni in oro. Tre stelle raffiguravano la cintura di Orione, e poi c’erano delle scritte che ad oggi ancora non sono state decifrate. Alcune fonti riportano un tentativo di traduzione fatto dal professor Kurt Schildmann, ma non c’è conferma di questa versione. L’unica cosa certa è che l’alfabeto usato sembra essere antecedente al sanscrito: ovvero antecedente al più antico linguaggio conosciuto, da cui sarebbero derivati tutti gli altri.
C’è un’ultima particolarità relativa alla piramide, ed è che brilla sotto la luce ultravioletta. Ciò è possibile grazie alle proprietà naturali della calcite, che sembra essere stata ridotta in polvere finissima per darle delle forme che appaiono solo sotto una particolare illuminazione. Oltre alla calcite possono essere stati usati altri minerali, come il manganese, che possiedono proprietà simili e diventano fluorescenti con diversi colori.
Gli altri manufatti
La piramide già da sola basterebbe a riempire un libro di illazioni. In molti hanno visto un nesso concreto con la civiltà egizia: c’è chi crede che non sia altro che una riproduzione della piramide di Cheope, alla quale manca il rivestimento esterno. Ergo, significherebbe che anche la grande Piramide aveva un occhio inciso sulla sommità. Inoltre, a chi appartiene quel linguaggio usato nell’incisione? Se è davvero una lingua antecedente al sanscrito, vuol dire che è antecedente anche a quella dell’antico Egitto, dei Maya e di tutte le altre civiltà considerate tra le più remote (e le prime) nella storia dell’Uomo.
Anche l’occhio è un simbolo sanscrito molto noto. Al giorno d’oggi è noto soprattutto per essere un simbolo massonico, e perché è riportato sulle banconote da un dollaro. In origine però sta ad indicare il terzo occhio, ovvero la capacità di visione che va oltre il reale e il tangibile. Il suo simbolismo è molto forte. Infine, le stelle della cintura di Orione richiamerebbero ancora una volta le piramidi di Giza e la loro disposizione. Detto per inciso, La Manà si trova ad una distanza da Giza pari al 30% della circonferenza del globo terrestre.
Mettendo per un attimo da parte la piramide, ci sono ancora molti altri oggetti interessanti che provengono da La Manà. Premettiamo che nessuno di essi ha una datazione, poiché non possediamo la tecnologia adatta per scoprirla. Quindi possono risalire anche a molti millenni fa e, di fatto, la loro natura sembrerebbe confermarlo. Il reperto più grande è una pietra che presenta delle incisioni che sembrano già ad una prima occhiata terribilmente familiari.
Secondo alcuni studiosi questa pietra non sarebbe altro che un primordiale mappamondo, dove i continenti sono molto diversi rispetto ad oggi. Le linee rosa indicano infatti i contorni delle coste delle terre emerse. Oltre a sagome un po’ più simili a quelle attuali, ci sono due macroscopiche differenze. Nella parte settentrionale dell’Oceano Atlantico c’è una sorta di grande isola: Atlantide? E in mezzo all’Oceano Pacifico c’è un continente che oggi non c’è più. Mu?
Le risonanze geometriche
Oltre a questa mappa terrestre, ci sono anche mappe celesti che riportano costellazioni leggermente differenti rispetto a quelle a noi note. Ci sono tredici coppe di giada, una più grande delle altre dodici che secondo alcuni rappresenterebbero i segni dello Zodiaco. Il contenuto della coppa più grande è esattamente lo stesso delle altre dodici messe insieme. Il modo in cui sono state lavorate, scolpite in un unico pezzo, non può che essere frutto di una civiltà molto avanzata.
Sono stati rinvenuti anche molti dischi di pietra che portano incisi dei simboli tra i quali la spirale, o mandala. Sembrano oggetti destinati alla meditazione, e a loro volta presentano delle linee fluorescenti. Molto interessanti sono soprattutto due dischi ottagonali che possiedono anche proprietà magnetiche. Ogni singolo oggetto appare essere stato studiato seguendo scrupolosamente i dettami della geometria sacra e della psicoacustica.
Chi ha avuto modo di analizzare i reperti di La Manà con attenzione ne ha tratto alcune conclusioni che possono sembrare audaci, ma che al momento non possono essere smentite da altre ipotesi più convincenti. Punto primo: si tratta di oggetti molto antichi, che non appartengono ad alcuna civiltà conosciuta. Da alcuni indizi si può ipotizzare però che tale civiltà sia antecedente a quelle note. Probabilmente ha originato sia la cultura egizia che quella Maya, di certo precede il sanscrito. Molti elementi (ad esempio, il simbolo del serpente che ricorre in alcuni reperti) creano un collegamento anche con l’Asia.
Punto secondo: chi ha costruito questi oggetti conosceva i principi della Risonanza Magnetica Terrestre. Soprattutto, il principio secondo il quale dal polo nord magnetico del nostro pianeta si dipana una frequenza che poi si modella e si espande su altre parti del globo. Punto terzo: questi reperti pongono delle sfide intellettuali che non possono essere ignorate. Essi dicono, e a gran voce, che il passato dell’Uomo è diverso da come lo abbiamo scritto finora.
La piramide del Colibrì
Sono passati quasi quarant’anni dal ritrovamento dei reperti di La Manà, e nel 2013 è stata fatta un’altra scoperta nello stesso luogo, se possibile ancora più spiazzante. Una spedizione archeologica guidata da Alexander Putney e Suzanne Benoit ha infatti trovato, tra la fitta vegetazione, una piramide vera, affiancata da altre costruzioni megalitiche che sono state riportate alla luce a seguito di alcune esplosioni di dinamite.
Queste strutture si trovano lungo il fiume Calope e sono molto simili alle altrettanto controverse piramidi bosniache. In pratica, si tratta di strutture naturali che hanno subito una lavorazione artificiale, con pavimenti, strade e piattaforme. Tutto questo non era mai stato notato in precedenza. La costruzione più evidente è una piramide triangolare alta circa 70 metri, che si può distinguere soprattutto osservandola dalla riva del fiume.
Questa piramide è stata chiamata Piramide del Colibrì (Hummingbird Pyramid) per due motivi. Il primo è che in questa parte dell’Ecuador ci sono moltissimi colibrì. Il secondo è che questo piccolo volatile si ritiene abbia delle influenze psicoacustiche: tale credenza è diffusa tra le popolazioni andine. Si crede infatti che la piramide risponda a determinate caratteristiche che la mettono in risonanza con le vibrazioni terrestri, facendo parte di un reticolo mondiale in cui è compresa anche la piramide di Cheope.
Non si tratta solo di fantasiose illazioni. La gente del posto può confermare che tutta la zona spesso si anima di suoni rimbombanti che riempiono la vallata del fiume e la zona delle cosiddette Sette Cascate. Potrebbe anche trattarsi di un sofisticato sistema di comunicazione capace di attraversare le distanze ancora più efficacemente che il moderno wi-fi. La Piramide del Colibrì è un mistero ancora tutto da scoprire.
Chi ha costruito il sito di La Manà
Tutti gli studi che si stanno conducendo su La Manà sono a livello embrionale, anzi, sembra strano che essi abbiano così poca risonanza. Questo perché l’archeologia ufficiale fa fatica ad inquadrare i curiosi manufatti all’interno degli schemi esistenti. Riguardo alle piramidi in parte artificiali e in parte naturali, ci sono delle grandi resistenze ad accettarne perfino l’esistenza.
Certo è che i reperti trovati dentro quel tunnel nel 1984 destano curiosità, interesse e stupore. Sembrano puntare tutti nella direzione di una civiltà antichissima, preesistente a tutte le altre conosciute, che però non appare affatto primitiva o poco evoluta. Al contrario, dimostra di possedere conoscenze che sfuggono nella loro interezza persino a noi contemporanei.
Potrebbe La Manà parlare di Atlantide e Mu più di qualunque altro sito ad oggi scoperto? Forse è presto per dirlo, ma i presupposti sembrano esserci tutti. L’invito, molto chiaro, che sembra giungere da chi ha costruito i reperti di la Manà è di aprire il nostro terzo occhio. Solo quando saremo in grado di andare oltre i nostri limiti, troveremo la strada per tornare ai nostri padri.
Oggi i reperti di La Manà sono nella collezione privata di Germàn Villamar.