C’è un particolare genere letterario che a nessuno di noi oggi verrebbe più in mente di adottare. Il genere fu inaugurato da sir Thomas More nel XVI secolo, e poi ripreso da Tommaso Campanella nel XVII. Lo identifica un termine che non ti suonerà nuovo: Utopia. Che cos’è un’Utopia?
Il luogo che non c’è
Ho definito “utopia” un genere letterario, ma non è esattamente questo, o meglio, non solo. La parola viene dal Greco Antico ed è formata dalla parola “topos“, che vuol dire “luogo”, e la particella privativa “ou” che vuol dire “non”. Insomma, letteralmente luogo che non c’è. Sir Thomas More intitolò la sua opera usando proprio questo termine, neologismo da lui stesso creato.
Tommaso Campanella visse qualche tempo dopo More; era un frate domenicano che nella sua vita dovette vedere molti cambiamenti epocali nella società, legati soprattutto alle nuove scoperte geografiche che vennero fatte in quel periodo. Rivoluzionario nella vita (fu imprigionato poiché aveva congiurato contro il dominio spagnolo) lo fu anche nelle sue opere letterarie.
Accadde che Campanella venisse imprigionato a seguito della sua fallita sedizione: era il 1602 e lui aveva 34 anni. Per non essere condannato a morte, finse di essere pazzo, finzione che riuscì a portare avanti per molti anni. Nella sua follia (vera o presunta) scrisse un’opera che ancora oggi ha qualcosa da raccontarci.
La Città del Sole
Potrei dirvi molte cose su “La Città del Sole“, il testo per cui Campanella è ricordato ancora oggi nelle antologie letterarie dei licei. Niente però che non potete leggere anche altrove. Ad esempio, vi potrei dire che riprese gli stilemi narrativi del neoplatonismo: il suo scritto è infatti in forma di dialogo.
Nell’utopia che Campanella racconta viene descritta un’ipotetica città, costruita su un’isola, fatta di sette cerchi concentrici di mura al cui centro c’è il Tempio del Sole, che è la Divinità assoluta venerata da tutti, Nella narrazione l’autore attinge a piene mani dalla filosofia e dalla politica dell’epoca: in quanto frate domenicano aveva ricevuto una formazione completa e la sua cultura era vastissima.
La società utopistica che descrive è una società basata sull’uguaglianza di tutti, pensa un po’, persino delle donne a cui è permesso anche combattere. C’è un capo che veglia sul bene di tutti, il quale non è tale né per diritto di sangue né per elezione, ma perché è colui che ha le più alte virtù morali.
Nella Città del Sole tutto si svolge alla perfezione, non c’è dolore, povertà, fame, conflitto. Insomma, è in tutto e per tutto un’Utopia.
Sognare Utopie
Se ti volessi addentrare un po’ di più nell’argomento, scopriresti le molte critiche avanzate al pensiero di Campanella: ad esempio, la sottile forma di assolutismo e il latente clima di Controriforma che aleggia tra le perfette costruzioni della Città del Sole. Innegabilmente affascinante, invece, è l’architettura della città immaginata (ma descritta come vera da un viaggiatore) che rispecchia nella perfezione delle forme la perfezione del sistema di governo.
Ciò che ti potrebbe stupire è piuttosto notare che nella nostra letteratura contemporanea di Utopie non se ne sente parlare neanche a pagare. Sembra quasi che l’Uomo abbia perso il potere di sognare, o la voglia di farlo. Certo, mi dirai che ai tempi di Campanella il mondo era in espansione, mentre noi abbiamo già conquistato tutto e conosciuto ogni cosa che c’era da scoprire.
Forse il punto sta qui: credere di non avere più niente da scoprire. Per i Romani il mondo era una tavola bianca: oltre i confini noti sulle mappe c’era scritto solo “hic sunt leones”. Noi oggi, invece, possiamo spaziare fino ai confini del Sistema Solare certi di poter trovare ben poche sorprese. Ma da dove ci viene tutta questa sicumera? Davvero possiamo presumere che nell’immensità dell’Universo non ci sia più nulla capace di stupirci?
Il Folle Campanella
C’è un altro aspetto curioso nell’opera di Campanella: lui la scrisse fingendosi pazzo. Che sia forse questo il punto della questione? Non conta tanto quello che crediamo di sapere o non sapere: conta avere il coraggio di rimettere in discussione tutto, anche a costo di apparire un po’ folli.
La Città del Sole descritta da Campanella qualche secolo fa è un’Utopia, ma un “non luogo” in un dato momento non è detto che debba restare tale anche se cambiano le condizioni. Il Regno di Sibilla è un’altra Utopia, un luogo immaginato e sognato e reso vero dai sogni. Perché io credo che un’Utopia non sia tale se è perfetta, e nemmeno se è irrealizzabile: è tale se può essere sognata.
Il primo passo consiste nel tornare a sognare, a credere che oltre i confini noti ci siano i leoni. Perché in realtà è proprio così: l’unica certezza che puoi davvero nutrire in cuor tuo è che la nostra limitatezza non potrà mai colmare l’infinita conoscenza che ci aspetta oltre i confini del nostro ristretto Ego.
Il Tempio del Sole
Al centro dell’Utopia di Campanella c’è il Tempio del Sole, dove una cupola è dipinta con le costellazioni e la sfera celeste. La strada per costruire l’Utopia è dunque scritta nelle stelle, ovvero nella perfezione che c’era già prima che noi fossimo. Come a dire: non è difficile, fratello. Tutto quello che devi fare è ritrovare in te la prima scintilla da cui sei nato, e allora potrai ricostruire l’Unità Cosmica a cui, che tu lo sappia o meno, vuoi ritornare.