Possibile che vi siano piramidi dappertutto? Sì, è possibile, o quantomeno vale la pena di prendere in considerazione la straordinaria diffusione della forma piramidale sul globo terrestre. C’è chi crede che il loro reticolo formi una sorta di “biocomputer” atto a supportare le funzioni vitali del pianeta. Così, come ormai sarà chiaro, anche se le più famose piramidi sono quelle d’Egitto, ne esistono molte altre in tutto il mondo: ad esempio in Russia, sulla penisola di Kola.
La penisola di Kola
La penisola di Kola si trova all’estremo nord della Russia, nell’Oblast’ di Murmansk, ed è un luogo di grandi bellezze naturalistiche, per quanto sia stata gravemente devastata dall’inquinamento radioattivo. Sulla penisola vi sono infatti ben 250 reattori nucleari. Dal punto di vista archeologico, la penisola di Kola è nota per i numerosi labirinti che si trovano lungo il mare, la cui destinazione d’uso resta ancora, ad oggi, sconosciuta. I mari che la circondano sono quello di Barents e il mar Bianco.
La penisola di Kola è stata abitata fin da settemila anni prima di Cristo da diverse etnie, e c’è chi favoleggia che potesse essere la mitica Iperborea raccontata da molti scrittori greci, tra i quali Erodoto. Iperborea, il cui nome vuol dire letteralmente “oltre Borea”, nome dato al vento del nord, era una terra mitica ma che a lungo è apparsa sulle mappe geografiche. Abitata da giganti, lì il sole non tramontava mai per mesi interi. Una descrizione terribilmente calzante con le terre artiche.
La prima spedizione
L’interesse nei confronti delle antiche civiltà che possono aver abitato la penisola di Kola è sempre stato alto: in epoca nazista si voleva dimostrare che la razza umana avesse avuto origine qui, per ribadire la superiorità degli ariani. Nel 1921 fu tentata una prima spedizione per scoprire i misteri della penisola. All’epoca guidava il gruppo di ricerca Alexander Barchenko, biologo che si interessava di fenomeni paranormali.
La spedizione fu sponsorizzata anche, evento davvero raro, dall’OGPU, la polizia segreta dello stato sovietico. Barchenko era convinto che la penisola celasse i resti di Iperborea, una civiltà che era precedente al grande Diluvio e che intorno ai 12.000 anni prima si era spostata poi verso sud. Quella civiltà aveva una tecnologia molto avanzata e sapeva controllare l’energia atomica. Tutta la documentazione relativa alla spedizione Barchenko è svanita nel nulla.
Le spedizioni successive
Bisogna arrivare al 1998 prima che un’altra spedizione si prefigga lo stesso scopo di Barchenko, che nel frattempo venne ucciso nella Grande Purga del 1938. Al viaggio presero parte professionisti di varie branche del sapere: geologi, etnografi, storici, filosofi, persino ufologi, che si fecero chiamare con il nome collettivo di Hyperborea-98. Alle pendici del monte Ninchurt, l’archeologo Alexander Prokhorov trovò i resti di antiche mura in pietra. Inoltre si imbattè in un seid nell’istmo tra Lovozero e Seydozer.
I seid sono pietre rituali usate dagli sciamani dei Saami, il popolo che ha dato origine ai lapponi e che abitava in tempi antichi la penisola di Kola. Vicino a queste pietre si tenevano dei rituali volti per lo più a cercare di guarire le persone dalla cosiddetta “psicosi polare”, uno stato catatonico che colpiva le persone le quali diventavano incapaci di fare alcunché e cominciavano a vaneggiare.
I seid erano luoghi sacri di grande potere. Ma quel seid non fu l’unica scoperta interessante. Vi era anche un osservatorio, con uno strumento di ben 15 metri che appariva simile ad un sestante. Il capo della spedizione, il professor V.N.Demin, nel suo libro “Russia Nordica” scrisse in seguito che questi ritrovamenti testimoniavano il fatto che la penisola di Kola era stata al centro di una grande civiltà, e che da essa era derivata l’umanità tutta.
La campagna per la storia
L’ultimo tentativo di carpire i segreti della penisola di Kola risale a tempi recenti, al 2007, e a quella che fu pomposamente definita “campagna per la storia”. A questa ultima spedizione presero parte Sergey Smirnov, esperto in scienze matematiche; Yuri Kudinov, professore dell’Accademia Russa di Scienze Naturali, e il geologo e geografo Dmitry Subetto. Il gruppo di ricerca partì con grande entusiasmo: per ognuno di questi studiosi si presentava un’occasione unica di vedere da vicino quello che avevano sempre letto sui libri.
Ma fin da subito la spedizione fu funestata da vari incidenti. I ricercatori ebbero grossi problemi a trovare guide affidabili. Muoversi da soli era impensabile, visto che il territorio di esplorazione era estremamente insidioso. Provarono così con l’elicottero, ma dall’alto era difficile notare alcunché al suolo per via della vegetazione. Inoltre, il mezzo quasi si schiantò durante un atterraggio.
Nonostante questo. i ricercatori riuscirono a fare una scoperta straordinaria. Avvistarono infatti due piramidi a gradoni, orientate verso i punti cardinali e collegate da un ponte. Erano alte 50 metri e assomigliavano alla piramide di Djoser, e a quelle sudamericane. Esplorarono le strutture con uno speciale georadar chiamato “OKO”, scoprendo cavità al loro interno e dimostrando senza dubbio che erano manufatti umani.
Queste opere imponenti erano degli osservatori stellari, ed erano state costruite tre volte nel tempo. Secondo i geofisici, quelle piramidi hanno il doppio degli anni delle piramidi egizie, e potrebbero risalire addirittura a 9000 anni fa. Non si può trovare che una spiegazione a chi potrebbe aver costruito simili magnificenze: gli abitanti di Iperborea, che poi migrarono verso sud con il raffreddarsi delle temperature.
La civiltà viene da nord
Secondo Yuri Kudinov, che era a capo dell’ultima spedizione, non vi era dubbio alcuno che quelle piramidi non fossero conformazioni naturali, ma fossero state costruite da mani umane. Questo non in virtù di illazioni, ma grazie ai sofisticati mezzi tecnologici adoperati per indagarle. Questo non poteva che significare una cosa: considerando che le piramidi della penisola di Kola sono più antiche di quelle egizie, vuol dire che la civiltà umana non è venuta da sud, ma da nord.
Ci sono molti altri reperti interessanti su questa remota penisola, come “l’impronta” lasciata su una parete rocciosa nella zona del lago Seydozero. Si tratta della sagoma annerita di un uomo colossale, alta cento metri. Secondo la popolazione locale quella è la sagoma del gigante Kuyva, che vessava la gente e che fu punito dagli dei, venendo fulminato. Insomma, questo è decisamente un luogo che ha parecchie cose da raccontare.
Di certo la nostra cultura eurocentrica e filoamericana ci fa ignorare molte interessanti scoperte che arrivano invece da un’altra parte di mondo. Parte da noi sottovalutata, ma che potrebbe fornirci la chiave di lettura per comprendere i molti enigmi che ancora restano da svelare sulla storia dell’Uomo.
Fonti:
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