Il più grande sostenitore dell’esistenza di Mu, e anche il suo più grande teorizzatore, è stato il colonnello James Churchward. Sono molti però coloro i quali non danno credito ai suoi scritti e alle sue ipotesi, e non si può negare che Churchward pecchi spesso di ingenuità o superficialità. C’è però qualcosa che è innegabile, ed è il fatto che una sua affermazione non può essere confutata. L’intero Oceano Pacifico è disseminato di prove dell’esistenza di Mu: basti pensare all’Isola di Pasqua.
Rettifichiamo: non si può negare che molte delle isole e isolette dell’Oceano Pacifico presentino resti di monumenti megalitici. Siccome si tratta di territori sparsi, separati tra di loro da diverse miglia marine, non sembra peregrino ipotizzare che siano ciò che resta di una terra più vasta, molto antica, che oggi non è più. Cosa curiosa, quasi mai le pietre con cui sono costruiti questi monumenti sono locali. Provengono quasi sempre da un altro posto. Considerando che trasportare enormi blocchi di pietra per mare non è cosa semplice nemmeno ai giorni nostri, si può ipotizzare un’altra spiegazione.
Nel 1956 il famoso geologo Vladimir Obruchev scrisse: “Si può pensare che nella cintura equatoriale della Terra, in un momento in cui entrambe le regioni circumpolari erano ancora coperte di neve e ghiacciai, l’Umanità raggiunse un elevato sviluppo culturale. Eressero bellissimi templi per le divinità, piramidi come tombe per i re, e statue di pietra sull’Isola di Pasqua per proteggersi da qualche tipo di nemico. E sorge una domanda interessante: la morte di altre culture e delle loro strutture è stata causata da una sorta di catastrofe?”
Le leggende dell’Isola di Pasqua
Se si presuppone che i resti di civiltà sulle isole del Pacifico non siano resti di diverse civiltà, ma di una sola, si deve giocoforza credere che un tempo quelle isole fossero parte di un unico continente. Se quel continente non c’è più, deve essere accaduto qualcosa di cataclismatico per ridurlo in tanti minuscoli frammenti che a fatica serbano la memoria. A fatica? La verità è che noi ci interessiamo poco alle tradizioni e alle leggende degli abitanti sperduti di qualche atollo remoto. Ma quando si presta ascolto, si possono sentire cose estremamente interessanti.
Ecco cosa raccontano gli abitanti dell’Isola di Pasqua. “Un tempo qui vi era una vasta terra. Ma un gigante, di nome Uvoke, che poteva distruggere le isole con il suo bastone, era arrabbiato e decise di distruggere questa terra. La colpì finché non mandò in frantumi il monte Puku-Puhipuhi. Alla fine, non rimase che la nostra isola”, l’Isola di Pasqua, appunto. Ovvero, nel ricordo ancestrale di questa gente vi è la memoria di un’unica, grande terra.
Un’altra interessante testimonianza è quella che venne raccolta dal ricercatore francese Francis Maziere. Questi, aiutato da sua moglie Tila che era polinesiana, intervistò uno degli ultimi saggi dell’Isola di Pasqua. Il suo racconto era simile a quanto riportato sopra. “L’Isola di Pasqua anticamente era assai più grande di ora. Ma per via dei misfatti dei suoi abitanti, Woke si sollevò e la distrusse con la sua verga.” Mazier scrisse un libro, “The Mysterious Easter Island”, in cui parlava di un’altra versione di come l’isola fu popolata.
Parla di un capo chiamato Hotu Matua che governava una terra chiamata Maori. Il capo si accorse che quella terra affondava piano piano nell’Oceano. Così caricò la sua gente su due grandi imbarcazioni e si allontanò, trovando rifugio sull’Isola di Pasqua. Qui poi ordinò di costruire grandi statue di pietra, che guardassero nella direzione di quella terra antica da cui erano venuti e che più non era.
Altre leggende e vetusti edifici
Nell’ottica in cui si voglia provare a supporre che Mu sia davvero esistita, si capisce come non solo l’Isola di Pasqua ne serbi memoria. C’è anche una leggenda hawaiana, tramandata di generazione in generazione, che racconta di un vasto continente chiamato Ka-Hopo-o-Kane. Questo termine significa “il plesso solare del dio Kannee”. Il continente si trovava dove oggi ci sono la Polinesia, la Nuova Zelanda e le isole Fiji. Secondo la storia, il continente fu sommerso da una vasta inondazione, definita Kai-a-Ka-Hina-Aliyah (l’Oceano che abbatté i potenti). Chi si salvò ci riuscì grazie all’aiuto di un vecchio uomo saggio chiamato Nuu (Noè?).
Ma non sono solo racconti e leggende che forniscono interessanti elementi per credere nella veridicità di Mu. Nel 1974, sul giornale francese “Science et Vie” si parlava di cinque isole non distanti dall’arcipelago delle Nuove Ebridi. Secondo la tradizione locale, pare che quelle isole fossero il risultato della disintegrazione di un’isola più grande chiamata Kuwaye. Le indagini geologiche condotte dall’archeologo Jose Garanger confermarono tale assunto, riaprendo, per sua stessa ammissione, anche il discorso relativo a Mu.
C’è infine un artefatto che ancora una volta farebbe pensare che il mondo che conoscevano i nostri antenati era assai diverso da quello di oggi. Si tratta del “globo di La Mana”, quello che secondo alcuni è il più antico mappamondo mai rinvenuto. Nel 1984 una spedizione guidata da Elias Sotomayor trovò dentro gallerie che scendevano in profondità sotto le montagne dell’Ecuador molte pietre interessanti, una più delle altre. Aveva delle incisioni sopra, che facevano proprio pensare ad una rudimentale mappa geografica.
L’aspetto più curioso riguardava le coste della parte meridionale dell’Asia, così come si protendevano fino all’America. Le isole dei Caraibi e la penisola della Florida non erano disegnate. Un po’ sotto l’equatore, nell’Oceano Pacifico, c’era un’isola gigantesca, all’incirca delle dimensioni del Madagascar. Il Giappone era parte di un gigantesco continente, che si estendeva fino alle coste dell’America e a sud. Molti scienziati, com’è ovvio, contestano il fatto che questa pietra sia, di fatto, un mappamondo antichissimo. Di fatto, ci si rifiuta di provare a considerare le cose da un altro punto di vista.
Dall’Isola di Pasqua fino a Mu
A Uxmal, nella penisola dello Yucatan, c’è un’antica città Maya circondata da mistero e magia. Si racconta infatti che uno dei suoi monumenti più notevoli, il cosiddetto “Tempio dell’Indovino”, sia stato eretto in una sola notte da un nano chiamato Itzamna che disponeva di particolari poteri. In questo tempio si trova un’iscrizione che così è stata tradotta “la terra ad Ovest, da dove siamo venuti”. Peccato però che ad ovest dello Yucatan, per molte e molte miglia marine, non vi sia oggi altro che acqua.
Anche se la comunità scientifica presta poco o nessun credito ai numerosi indizi sparsi che sembrano dimostrare che, di fatto, Mu sia esistita, resta comunque un insieme di racconti, monumenti, ricordi che invece sembrano puntare decisamente in questa direzione. Non ultima, la scoperta di alcuni edifici immersi nei pressi dell’isola di Yonaguni, tra i quali una piramide. Così come per Atlantide, la ricerca di Mu è tutt’altro che conclusa, e il capitolo sulla sua esistenza, o meno, tutt’altro che archiviato.
Fonti:
- https://prosemenov.ru/en/atlantida-giperboreya-lemuriya-mu—kontinenty-davno-izvestnye-geologam-eshche-raz/
- Cosmic Creation
- https://ishvetsov.ru/en/samye-neobyasnimye-artefakty-iz-kogda-libo-naidennyh-samye-zagadochnye/
- https://www.ancient-origins.net/ancient-places-americasy/spectacular-ancient-maya-city-uxmal-003768