Uno dei musei più interessanti al mondo per quel che riguarda l’Antico Egitto, secondo forse solo a quello del Cairo, è il Museo Egizio di Torino. Tra i suoi reperti sono conservati molti pezzi interessanti, tra i quali vi è il cosiddetto Papiro dei Re, o Canone Regio. In questo documento, che risale al regno di Ramses II, sono elencati tutti i sovrani che regnarono sull’impero fin dai tempi degli antichi dei. Scopriamo cosa dice di importante il Papiro dei Re, che parla dei misteriosi Shemsu-Hor.
Bernardino Drovetti e il ritrovamento del Papiro dei Re
Anche se il Papiro dei Re è un documento quasi unico nel suo genere, e quindi di fondamentale importanza per l’egittologia, va detto che ci sono molti aspetti misteriosi sia nel suo ritrovamento che nella sua ricostruzione. Oggi infatti è ridotto in frammenti, ma quando venne ritrovato, nei tardi anni Dieci del 1800, era ancora integro. Il luogo del ritrovamento è Luxor, ovvero l’antica Tebe. L’autore del ritrovamento è Bernardino Drovetti, di origini italiane, che all’epoca però era il console francese in Egitto.
Non si sa se fu lui personalmente a scoprire il reperto o se semplicemente lo acquistò. Non si conosce nemmeno la data esatta di quando ciò avvenne, di certo però tra il 1818 e il 1824. Quel che è certo è che Drovetti non comprese quanto prezioso era quel papiro, e per portarlo in Europa lo chiuse in una cassa da cui uscì ormai ridotto in numerosi piccoli pezzi. All’epoca il mercato di reperti storici egiziani era fiorente, quindi di certo contava di rivenderlo ad un buon prezzo.
Dapprima provò a contrattare con il governo francese ma senza successo. Si rivolse poi a Vittorio Emanuele I di Savoia, Re di Sardegna e Principe di Piemonte. Il prezzo richiesto da Drovetti era troppo alto anche per i Savoia: ben 400.000 lire. Quando il re abdicò in favore di suo fratello Carlo Felice, Drovetti raggiunse infine un accordo con quest’ultimo e gli vendette molti papiri egizi che finirono tutti nella collezione dell’erigendo Museo Egizio. Era il 1824.
I primi studi e l’intervento di Champollion
A quei tempi l’autorità indiscussa in materia di Antico Egitto era Jean-François Champollion, il quale era riuscito a decifrare i geroglifici e aveva individuato anche un altro tipo di scrittura chiamata “ieratico”, che è una sorta di corsivo dei geroglifici. Era quasi inevitabile che fosse lui il primo a mettere mano al Papiro dei Re, e lo fece in un modo assai poco scientifico. Non cercò infatti di ricostruirlo, per quanto possibile, ma si limitò a tradurre le porzioni che erano maggiormente intellegibili.
Il lavoro di Champollion fu duramente criticato da colui che lo seguì nell’interpretazione del documento, l’egittologo tedesco Gustav Seyffarth. Questi era in aperto contrasto con il collega francese, in quanto convinto che i geroglifici avessero un valore puramente fonetico e non concettuale. Fu lui però che ci ha regalato la ricostruzione più convincente del Papiro dei Re nella sua interezza (per quanto possibile), mettendo insieme i pezzi e incollandoli su un supporto.
Il merito di Seyffarth è di aver seguito un rigoroso criterio scientifico, cercando di far combaciare le fibre, la tessitura e i colori. In questo modo ha ricostruito un insieme omogeneo e realistico, per quanto fortemente lacunoso. Purtroppo però il suo lavoro fu a lungo malvisto, per via della sua inimicizia con Champollion che invece era universalmente stimato. Il Papiro non venne quindi tenuto nella dovuta considerazione per alcuni anni, salvo entrare a far parte della collezione Drovetti.
I fac-simile che possiamo studiare oggi
Più passa il tempo più i pochi frammenti del Papiro si deteriorano. Seyffarth sospettava addirittura che quelli mancanti fossero stati distrutti volontariamente da Champollion, che li riteneva privi di interesse. Non possiamo sapere se questa storia è vera, ma sappiamo bene quanto impegno a volte venga profuso per nascondere ciò che non si desidera venga reso noto ai più. Sta di fatto che nei decenni a seguire altri studiosi cercarono di mettere ordine nel Canone Regio, scoprendo alcune cose interessanti e soprattutto producendo dei fac-simile sui quali si studia ancora oggi.
Il documento oggi è conservato da due vetri, dopo un accurato lavoro di restauro eseguito nel 1934. Quello che sappiamo sul Papiro è che fu “riciclato”. Sul recto erano scritti documenti amministrativi riguardanti le tasse; il verso fu usato per redigere una lista completa di tutti i sovrani d’Egitto dalla più remota antichità fino ai giorni attuali. Pare che il Canone fu redatto durante il regno di Ramses II, quindi durante la XIX Dinastia, o successivamente. Il testo è privo del preambolo iniziale e della fine, risulta quindi monco.
Lo studio più accurato sul Canone Regio resta quello condotto da Alan Gardiner negli anni Trenta, ed è davvero un peccato che non vi siano stati ulteriori, seri approfondimenti. Il Papiro dei Re non è l’unico elenco di sovrani egizi che esista ma è l’unico che non contenga omissioni e che segua uno scrupoloso ordine cronologico. Parte elencando i reami degli Dei per arrivare agli ultimi faraoni, con un interessante intermezzo.
I misteriosi Shemsu-Hor
Non è possibile fare una datazione precisa dell’intercorrere degli anni tra i faraoni, per via della lacunosità del testo. Questo nonostante per ogni sovrano siano riportati gli anni di regno, a volte con le date di inizio e fine. Sono inclusi tutti i regnanti, anche quelli di territori minori, e anche quelli che hanno subito la damnatio memoriae. Non vi è cioè alcuna manipolazione politica. Il Canone non è veramente un canone, ma un mero elenco.
All’inizio vi erano gli Dei: Ptah fu il Dio creatore, considerato quindi il primo vero sovrano d’Egitto. Seguono poi gli Dei: Ra, Shu, Geb, Osiris, Seth e Horus, il cui dominio durò oltre 12.000 anni. Ai sovrani divini non seguirono immediatamente i faraoni umani, ma altri condottieri che governarono per altri 6000 anni. Queste creature misteriose erano chiamate Shemsu-Hor, non erano Dei ma nemmeno Uomini. Erano semi-dei, i compagni di Horus.
Gli Shemsu-Hor erano chiamati anche “i luminosi” e all’incirca il loro regno corrisponde con la costruzione delle piramidi di Giza e della grande Sfinge. Il Dio Horus, di cui loro sarebbero stati “i compagni”, era anche detto “colui che viene da lontano”. Ma da quanto lontano? Quel che si sa è che Horus riuscì a riunire l’Alto e il Basso Egitto dando, di fatto, il via alla stirpe dei faraoni e alla grandezza conclamata di questo territorio.
Un’importante testimonianza
Il Papiro di Torino sembra uno dei documenti più importanti che possediamo circa la storia dell’Antico Egitto, poiché (almeno apparentemente) super partes. Non operò epurazioni, non omise nulla. Semplicemente, in esso lo scriba riporta ciò che è stato, senza pretese, visto che in sostanza riutilizza una pergamena già usata. L’aspetto più frustrante per lo studioso è la perdita della parte iniziale, in cui probabilmente si davano dei dettagli sul perché e sul percome il documento venne redatto.
Una cosa più di altre appare chiara: quanto la noncuranza dell’uomo, o il suo mettere davanti altri interessi rispetto a quello puramente scientifico e storiografico, possano inficiare indizi che potrebbero rivelarsi determinanti. Il Papiro dei Re ci è giunto integro attraverso secoli di storia, ma oggi è così compromesso da aggiungere mistero al mistero, senza contribuire a svelare le molte ombre che ancora avvolgono una civiltà affascinante, ma al contempo poco chiara, come quella egizia.
Restano loro, gli Shemsu-Hor, che non erano uomini ma non erano Dei. di certo però erano speciali e sono esisti tanto quanto gli “Dei” venerati in Egitto. Si può continuare a credere che gli egizi si siano creati un pantheon puramente inventato. Oppure si può ipotizzare che a dare il via alle grandi dinastie dei faraoni sia stato qualcuno, venuto da lontano, diverso da un uomo e creduto poco meno che divino per le sue peculiarità.
Fonti: