Anche se l’Oceano Atlantico è molto lontano dalla Russia, studiosi e scienziati sovietici si sono sempre interessati ai suoi fondali. Ufficialmente le ricerche riguardavano la flora e la fauna sottomarine; qualcuno, ai tempi della Guerra Fredda, ipotizzava che in realtà servissero a trovare luoghi idonei dove piazzare strategicamente dei sommergibili… Quale che sia la verità, certo è che una delle spedizioni russe degli anni Settanta in Atlantico ha avuto un esito decisamente curioso.
Al largo di Gibilterra
I fatti che stiamo per narrare sono avvenuti nel 1974 ma vennero resi di dominio pubblico solo qualche anno dopo, nel 1979. La nave sovietica Academician Petrovsky, dedicata alle ricerche oceanografiche, si trovava nei pressi dell’arcipelago Horseshoe, al largo dello stretto di Gibilterra.
A quei tempi le ricerche subacquee si svolgevano con un’attrezzatura piuttosto rudimentale, composta da sonar, scandagli e macchine fotografiche che venivano immerse in acqua insieme a lampade che illuminassero le profondità del mare. La nave giunse all’altezza del monte sommerso Ampère e qui scattò delle foto.
A bordo della nave c’era un ricercatore dell’Istituto di Oceanografia dell’URSS, Vladimir Ivanovich Marakuyev, il quale, quando sviluppò le foto, rimase un po’ interdetto. In tre scatti infatti apparivano degli “oggetti” che lo studioso non seppe spiegarsi se non come costruzioni umane.
Nella prima foto si vedeva chiaramente un muro, fatto di blocchi di pietra squadrati, e lo stesso muro si evidenziava anche nella seconda foto. Nella terza, invece, apparivano degli scalini, che evidentemente facevano parte di una scalinata ben più vasta di quanto non fosse visibile in foto. Insomma, secondo le parole dello stesso Marakuyev, quelli erano segni di una presenza umana in luoghi che, sostiene, “un tempo dovevano essere terre emerse”.
Una scoperta a lungo celata
A rendere noto il contenuto di quelle foto però fu, anni dopo, il professor Andrei Aksyonov dell’Istituto di Oceanografia dell’Accademia delle Scienze Sovietica. Questi raccontò che Marakuyev gli aveva mostrato gli scatti e che lui era dello stesso avviso: quegli edifici un tempo si trovavano all’asciutto. Disse però di non saper spiegare perché il suo collega avesse tenuto celato così a lungo il suo ritrovamento.
Nessuno parlava di Atlantide, ma era ovvio che il nome del mitico continente perduto era nella testa di tutti. Anche perché le “coincidenze” sono numerose. Il monte Ampère, dove le foto sono state scattate, è un vulcano oggi spento alto circa 3000 metri, la cui sommità si trova circa 70 metri sotto il livello del mare. Pare che l’ultima eruzione risalga a 10 mila anni fa.
Questo monte si troverebbe proprio dove Athanasius Kircher, autore di una delle più famose mappe di Atlantide, aveva disegnato il continente perduto. Il suo profilo (visto che più che di un monte si tratta di un vasto altopiano) coincide in modo sorprendente con i contorni dell’isola riportata sulla mappa. E coinciderebbe anche con l’accurata descrizione fatta da Platone della capitale dell’impero atlantideo.
Rovine semisepolte dal mare e dal tempo
I gradoni e il muro immortalati dai russi erano coperti da uno spesso strato di sedimenti marini, alto circa 30 metri. Questo è perfettamente comprensibile, se si immagina che siano trascorsi non solo secoli, ma millenni da quando quelle costruzioni sono sprofondate in mare o, per meglio dire, vennero sommerse.
Chi sostiene che Atlantide è esistita, spiega che il molto tempo passato, e l’azione del mare, rendono impossibile trovare dei resti integri o ben conservati. Quello a cui possiamo ambire sono tracce, come quelle evidenziate nelle foto della Academician Petrovsky. Ma allora perché nessuno mai si è preso la briga di indagare più a fondo?
Qualcuno parla dell’innata diffidenza che l’Europa Occidentale e l’America hanno nei confronti dei Russi, anche dopo il crollo dell’impero sovietico. Qualcun altro dice che i russi non hanno detto la verità circa il luogo dove sono state scattate le foto e che vogliono tenere segreto quello che hanno trovato. Quello che è certo è che questa storia, che pure fu pubblicata sull’autorevole rivista Znanie-Sila, oggi è quasi del tutto dimenticata.
Indizi di un’Altra Storia
Oggi le foto scattate nel 1974 si possono trovare riprodotte nelle ristampe del libro di Charles Berlitz “Atlantide – L’ottavo continente” e ad un occhio profano non dicono molto. Sono offuscate e poco chiare, ma a suo tempo Marakuyev disse che non si trattava di un’anomalia fotografica: quello che è stato fotografato è reale, e si tratta di resti di una civiltà umana che oggi sono sotto le onde dell’Oceano Atlantico.
Per noi queste foto sono altre “briciole di Pollicino”, tracce di un’Altra Storia che potrebbe essere scritta lasciando aperta la porta al legittimo dubbio. Anche se non si vuole credere all’esistenza di Atlantide, sul monte Ampère ci sono costruzioni umane. E sono lì ancora oggi come negli anni Settanta, ignorate dai più, vestigia mute di un racconto che in pochi hanno voglia di ascoltare.