Di città o civiltà perdute sembrerebbe esserne pieno il mondo, ma di questa nello specifico forse non ne hai mai sentito parlare. La città perduta del Kalahari ha una storia abbastanza curiosa e molto intrigante, e così come accade per molti altri misteri irrisolti, divide in due la comunità degli studiosi. Ci sono gli scettici che dicono che non è mai esistita, e che è solo il parto di una fantasia troppo accesa (o, peggio ancora, di una truffa). C’è chi invece pensa che la sua storia possa avere un fondo di verità, tanto da organizzare spedizioni avventurose in una delle zone più impervie del mondo. A questo punto, indossa anche tu il tuo caschetto da esploratore e scopri come è nata la leggenda della città perduta del Kalahari.
Il vasto e inospitale deserto del Kalahari
Se c’è un posto dove davvero non vorresti ritrovarti senza avere con te una abbondante scorta di acqua, questo è il deserto del Kalahari. Si estende per oltre 90 mila chilometri quadrati tra Sudafrica, Botswana e Namibia. Si tratta di una vasta e inospitale distesa priva di qualunque fiume o rigagnolo, con alberi rinsecchiti e contorti, rocce e pietre che fanno sembrare il paesaggio più lunare che terrestre. Insomma, un luogo dove nessun occidentale metterebbe piede di sua volontà. Salvo pensare che, invece, oltre cento anni fa qualcuno lo fece con un obiettivo ben chiaro in mente: i diamanti.
Era il mese di febbraio del 1885 quando Guillermo Farini, noto anche ai più come “il Grande Farini”, decise di intraprendere una spedizione verso il deserto del Kalahari. Non per scopi di studio o umanitari: come anticipato, sperava di arricchirsi visitando le numerose miniere di diamanti che, aveva saputo, popolavano la regione. Gli avventurieri sono sempre un po’ stravaganti, ma vale davvero la pena di spendere due parole sul Grande Farini, tanto per capire meglio anche quello che succederà in seguito alla sua spedizione.
Chi era il “Grande Farini”
William Leonard Hunt (1838-1929) era nato a New York ma possedeva cittadinanza canadese. Era un tipo abbastanza ribelle e mal tollerava la rigida educazione che i suoi genitori gli volevano impartire. Così, ad un certo punto, si unì ad un circo e iniziò a sviluppare doti da acrobata. Fece tanto successo da mettersi in proprio e da farsi conoscere dal pubblico per le sue imprese funamboliche ai limiti dell’improbabile. Una delle sue performance più notevoli con il nome d’arte Guillermo Antonio Farini fu l’attraversamento delle cascate del Niagara su una corda tesa da una parte all’altra.
Successivamente, dopo la Guerra Civile Americana, si trasferì a Londra. Adottò un figlio, Samuel Wasgate, che iniziò a esibirsi con il padre in vesti femminili e con il nome di Lulu Farini. Quando la verità venne fuori, molti degli estimatori di Lulu ci rimasero parecchio male. Ma arriviamo al motivo per cui stiamo parlando del signor Hunt in questo articolo: la sua spedizione in Kalahari. Abbiamo capito che quest’uomo, pur non essendo un esploratore in senso stretto, non era di certo uno che si metteva paura. Così, attraversò a piedi buona parte della distesa brulla del deserto insieme a Lulu.
Quest’ultimo dimostrò di avere altre doti, oltre a sapersi travestire: era un ottimo fotografo. Fece un reportage notevole del viaggio del padre adottivo, e alcuni degli scatti che corredano questo scritto vengono dall’archivio fotografico nazionale britannico. Tanti altri li puoi anche trovare online (consulta i link in fondo all’articolo). Durante questo viaggio straordinario, il Grande Farini vide qualcosa che, al suo ritorno, decise di rendere noto a tutti.
La perduta città del Kalahari
A quel che se ne sapeva fino a quel momento (e a quel che se ne sa anche oggi) in quella zona sub-sahariana dell’Africa non era fiorita alcuna grande civiltà. E come avrebbe potuto, visto il clima a dir poco arido? Pensa che il termine Kalahari viene da un vocabolo Tswana che vuol dire “grande sete”. Secondo i più ottimisti, potrebbe invece derivare dal termine Kgalagadi, che vuol dire “posto senza acqua”. Eppure, Farini tornò annunciando di aver trovati i resti di una grande città, la città perduta del Kalahari. Aveva le foto per dimostrarlo, e racconti molto accurati.
Farini enunciò le sue scoperte davanti ai membri della Società Geografica di Berlino, e poi i suoi resoconti vennero letti anche presso la Società Geografica Britannica. Poco dopo pubblicò anche un libro in cui raccontava il suo viaggio, “Attraverso il deserto del Kalahari“. Tra le altre cose, Farini descrive questa grande città semi sepolta dalla sabbia rossa, con mura distrutte, secondo lui, da un terremoto. Ipotizza infatti che le grandi costruzioni, tra le quali riconosce un tempio, possano essere state buttate giù da un evento cataclismatico.
Farini parla di pietre disposte a semicerchio, dove era ancora evidente la presenza di cemento che rendeva inequivocabile il fatto che ci si trovasse davanti a costruzioni umane. Ingiunse ai suoi uomini di scavare per un giorno intero e portò alla luce altre costruzioni. Così scrive
Lo strato superiore era composto da pietre oblunghe poste ad angolo retto rispetto allo strato inferiore. Questo ponte era attraversato da un altro, formando per così dire una croce di Malta. Apparentemente, al centro c’era un tempo un altare, una colonna o un monumento, come testimoniano le fondamenta rimaste. Mio figlio ha cercato di trovare dei geroglifici o delle iscrizioni, ma non ha trovato nulla. Poi ha scattato alcune fotografie e fatto degli schizzi.
Alla ricerca della città perduta del Kalahari
Le fotografie, i disegni e soprattutto i racconti di Farini accesero l’immaginazione degli esploratori, ma soprattutto misero in fermento tutta la comunità scientifica. Visto che fino a quel momento non si era nemmeno ipotizzata l’esistenza di una civiltà nel Kalahari, valeva la pena approfondire. Ecco così che ebbe inizio una lunga stagione di esplorazioni, fin dai primissimi anni dopo i resoconti di Farini. Ma c’era un ostacolo non da poco. Il deserto del Kalahari è immenso, e Farini non aveva lasciato alcuna coordinata precisa. Senza contare le difficoltà materiali delle spedizioni. Tutte si sono sempre risolte con clamorosi buchi nell’acqua: ad oggi non vi è alcuna evidenza che ci sia davvero una città perduta del Kalahari.
Nel 1957 Joshua Norman Haldeman, che di mestiere faceva il chiropratico ed era tutt’altro che un avventuriero, si spinse con tutta la sua famiglia in Namibia per cercare la città perduta del Kalahari. Con lui c’era sua figlia Maye, che anni dopo sarebbe diventata la mamma di Elon Musk. Anche Haldeman non ricavò molto da quel viaggio, se non una delle gite familiari più stravaganti di sempre.
La pietra tombale sulla storia del Grande Farini sembrerebbero essere le conclusioni del professore A.J.Clement, che nel 1964 ripercorse le sue orme. Clement trovò solo strane rocce di dolerite la cui forma, scrisse, poteva anche sembrare frutto del lavoro dell’uomo. Secondo lui Farini aveva preso un abbaglio, perché è “impossibile” che una civiltà sia potuta fiorire in un deserto. A meno che quella civiltà non risalisse a 15.000 anni prima, quando, in effetti, nel Kalahari c’erano dei laghi e la zona era ancora umida e ubertosa.
Gli ultimi sviluppi
Le conclusioni di Clement non hanno però scoraggiato spedizioni successive. Le ultimissime, in ordine di tempo, sono del 2013 e del 2016. Nel 2013 il Marcahuasi Project, che nasce da un gruppo di appassionati che si basano sull’uso di Google Maps, ha portato avanti una ricerca che va ad individuare delle strutture circolari che sono ben visibili in tutto il deserto del Kalahari. Si tratta di spirali che misurano dai 20 ai 250 metri di diametro. Sono forme che si trovano anche altrove in Africa, e che qualcuno ha assomigliato alle linee di Nasca. Giovani appassionati, soprattutto Jaimy Visser, hanno messo insieme molte immagini che puoi trovare nella pagina Facebook che alleghiamo tra le fonti.
C’è poi la spedizione del 2016, finanziata da Travel Channel e che ha dato vita ad una puntata della serie di documentari Expedition Unknown. Josh Gates, l’esploratore a capo di questa impresa alla ricerca della città perduta del Kalahari, ha trovato rocce molto simili alle descrizioni di Farini. Ancora una volta non vi è chiarezza se si tratti di conformazioni naturali o artificiali. Il dubbio resta: forse Farini si è inventato tutto, visto che era, di fatto, uno showman? Ha visto cose che nessun altro è riuscito a ritrovare? Oppure semplicemente non c’è nessuna città perduta nel Kalahari?
Quello che possiamo dire è che se in tanti si sono affannati a cercarla, non è solo per vanagloria o spirito di avventura. Se davvero 15.000 anni fa c’era una civiltà nel Sud Africa, e se davvero è stata distrutta da una qualche calamità naturale, potremmo aver trovato un altro pezzo del puzzle che conduce ad Atlantide. Il deserto, vasto e affascinante, è un po’ come l’Antartide: oggi ci respinge perché quasi incompatibile con la vita umana. Al tempo stesso ci attrae per via di una consapevolezza lievemente inquietante, ma innegabile: questi luoghi non sono sempre stati come appaiono oggi. E chi può dire come erano un tempo, tanto tempo fa?
Fonti:
- https://mysteriousuniverse.org/2018/10/the-mysterious-lost-city-of-the-kalahari/
- https://mysteriesrunsolved.com/2020/06/lost-city-of-the-kalahari.html
- https://www.ancient-origins.net/ancient-places-africa/kalahari-0011966
- https://itchyfeetandmore.com/2014/12/16/the-farinis-and-the-kalahari-lost-city/
- https://alchetron.com/Lost-City-of-the-Kalahari
- https://www.cnbc.com/2020/08/21/maye-musks-crazy-childhood-trekking-through-the-desert-in-africa.html
- https://onafhanklik.com/2021/04/03/legend-lost-city-of-the-kalahari/
- https://www.facebook.com/Archeomaps
- https://www.flickr.com/photos/nationalarchives/albums/72157627956769299
- https://expeditionunknown.fandom.com/wiki/Kalahari_Desert%27s_Lost_City
Pingback:Una città sotterranea nel Missouri: lo strano caso di Moberly