Il Brasile è una nazione che ha dovuto subire diverse occupazioni e colonizzazioni, e la cui popolazione di può definire “spuria”, cioè priva di una sua identità precisa. Quando la squadra nazionale del Brasile si presentò ai Mondiali del 1958 di Stoccolma c’erano ben poche speranze che potesse vincere contro i campioni del football europeo. Ma poi i calciatori usarono la “ginga”.
Se il Mister avesse imposto ai suoi ragazzi di seguire schemi, moduli e rigida tecnica, probabilmente non avrebbe ottenuto alcun risultato. Ma preferì lasciare che i suoi giovani giocatori si esprimessero esattamente come facevano per le strade: pensò che in fondo non era tanto importante vincere, quanto più divertirsi.
Così i calciatori brasiliani, tra i quali c’era l’allora esordiente Pelè, dimenticarono ogni regola e ogni insegnamento acquisito. Quando scesero in campo il pubblico osservò strabiliato quel gioco così diverso da quello a cui era abituato. Era fatto di salti, lazzi, frizzi, giochi, usava tutto il corpo, non solo le gambe. Era pura espressione della gioia di vivere. Era la ginga.
La ginga è un passo di danza della capoeira, e dal 1958 indica anche il peculiare modo di giocare dei calciatori del Brasile. Impossibile tradurre il termine: ginga è fantasia, genio, estro. Ginga è la magia che emerge dall’anima se viene lasciata libera di esprimersi. Ginga è felicità, ginga è esaltazione dell’umano nei suoi mille difetti e nella sua ineffabile capacità di elevarsi al di sopra di essi.
La ginga fece vincere il Brasile.
Che fine ha fatto la Ginga?
Ieri il Brasile, affrontando il campo il Belgio, ha perso. La questione non è squisitamente calcistica, forse è esistenziale: che fine ha fatto la ginga? Che fine hanno fatto fantasia, gioco, estro creativo, in un mondo dove hanno valore solo il denaro, il calcolo, il successo ad ogni costo?
Ahimè, sui patinati campi di calcio non vi è più posto per l’improvvisazione, questo è certo: ma nella tua vita potresti trovare il modo di praticare ancora un po’ di ginga? Improvvisa, osa, esprimiti in ogni modo che il tuo corpo e le tue facoltà intellettuali ti consentono. Non porti mai dei limiti, non ragionare sempre, qualche volta buttati. Fai della ginga il tuo modo.
La ginga però, in effetti, non si fa. La ginga non è solo un atteggiamento, ma un vero e proprio modo di essere. Non puoi fingerlo, devi esserlo. Devi pensare davvero che l’esistenza è un viaggio di cui non importa la meta: ciò che ha maggior valore è il viaggio in se. Ama ogni cosa che fai, assapora ogni minuto, proiettati in ogni esperienza che vivi. Così avrai vinto, perchè, ricorda: la vittoria è roba da perdenti. La vittoria non conta nulla se, per ottenerla, nel frattempo hai perso te stesso.
La ginga è magia, e la magia può compiere cose che prima credevi impossibili. La tua vita è una partita molto importante, più di qualunque partita di calcio, anche di quelle mondiali. Meriti di vincerla, e se sarai in grado di essere pronto a perdere, rischiando il tutto per tutto, per fare una rete in più, otterrai la vittoria più grande e indimenticabile che tu potessi desiderare.