Le civiltà definite da noi occidentali “precolombiane” abitarono il continente americano prima dell’arrivo degli europei. Quelle che erano stanziate in mesoamerica, vale a dire nella parte centrale del continente, furono sistematicamente annientate dai Conquistadores spagnoli. Oggi le ricordiamo perché ci hanno lasciato reperti di grande bellezza, costruzioni maestose, e anche tante storie che si tramandano tra i loro discendenti.
I Mexica, o Aztechi
Coloro che noi chiamiamo “Aztechi” in realtà si riferivano a loro stessi con il nome di “Mexica“. Difatti abitavano gran parte della zona oggi occupata dall’attuale Messico. Gli Aztechi suscitano grande curiosità in noi contemporanei sia per via delle grandi piramidi che eressero, sia per via della loro cruenta religione.
Gli Aztechi erano infatti soliti fare sacrifici umani alla loro divinità più importante, Quetzalcoatl, detto anche il “serpente piumato”. Pare che la sommità delle loro piramidi venisse inondata di sangue (erano sempre schiavi coloro che venivano usati come vittime) al fine di non far spegnere il Sole. Queste usanze si collegano ad una mitologia molto precisa, che racconta dell’esistenza di divinità mortali che giunsero da lontano ad insegnare agli uomini un nuovo stile di vita.
Quetzalcoatl, l’uomo venuto dal mare che al mare tornò
La tradizione azteca narra che Quetzalcoatl fosse un uomo dalla pelle bianca, alto, con una barba fluente. Era buono e generoso, incarnava tutte le migliori qualità possibili, e venne da oriente, da oltre il mare. Insegnò al suo popolo a coltivare il mais, a costruire, a vivere in una società strutturata. Terminato il suo compito prese di nuovo il mare su una zattera trainata da serpenti, dicendo che un giorno sarebbe tornato.
Gli Aztechi dunque attendevano il ritorno del loro dio e ciò fu la loro rovina. Quando arrivò Cortes credettero si trattasse del redivivo Quetzalcolatl. Ahimè, si sbagliavano enormemente. Il sovrano Montezuma accolse i Conquistadores come amici e questi ultimi, invece, sterminarono il suo popolo. Il suo errore però fu fatto in buona fede. Davvero le descrizioni del dio serpente lo rendevano molto simile ai viaggiatori arrivati dall’Europa.
Il legame degli Aztechi con il mare non si ferma solo all’origine del loro dio più importante. La loro mitologia narra anche che essi giunsero nel luogo in cui poi costruirono la capitale, Tenochtitalan, dopo una lunga peregrinazione. Il viaggio era iniziato da una località non meglio precisata, raffigurata come un’isola circondata dalle acque.
Codex Boturini
La storia della peregrinazione del popolo Azteco è narrata in un curioso documento che fu redatto nel XVI secolo. Un discendente di questa antica civiltà disegnò su un papiro fatto con foglie di banano l’epopea della sua gente. Nel primo foglio dei ventidue che compongono il Codex Boturini, questo il nome che ha il documento, si vede un’immagine piuttosto chiara.
I protagonisti del codice salpano da un’isola circondata dalle acque su delle imbarcazioni. L’isola ha un nome, si chiama Aztlán. Nessuno sa esattamente a cosa corrisponda questa terra mitica. Sono state fatte molte ipotesi, nessuna suffragata da prove certe. Anche l’etimologia del nome Aztlán, da cui deriva quello di Aztechi, resta oscura. Forse vi si può rintracciare come radice il termine “atl“, che nelle antiche lingue mesoamericane vuol dire “acqua“.
Il Codex Boturini si interrompe in modo brusco, a pagina 22. Nessuno sa perché il redattore non abbia portato a termine la sua narrazione.
Tenochtitalan, la capitale sull’acqua
Un altro aspetto curioso della civiltà azteca, che testimonia ancora una volta il suo legame con l’acqua (cosa, in verità, piuttosto comune per le civiltà antiche) è che la sua capitale, Tenochtitalan, viene spesso definita una sorta di piccola “Venezia”. Infatti sorgeva sull’acqua visto che gli Aztechi, al termine della loro peregrinazione, si erano insediati nelle vicinanze del lago Texcoco. La capitale venne costruita su un’isolotto del lago. In qualche modo è come se questo popolo continuasse a ricordare la terra da cui era dovuto fuggire, che si caratterizzava per il fatto che era circondata dall’acqua.
Gli studiosi continuano ad avanzare ipotesi sull’origine del popolo Azteco e su quella della loro divinità piumata, Quetzalcoatl. Le spiegazioni possibili sono numerose.Tra le molte possibilità ce n’è una giudicata dai più fantasiosa e improbabile, ma che forse vale la pena di prendere in considerazione.
Aztlán: Atlantide?
Prendiamo per un attimo in considerazione alcuni aspetti che sembrano collimare con il continente descritto da Platone, Atlantide. Degli Aztechi sappiamo che vennero da est. Non abbiamo elementi per dire in che epoca avvenne questo viaggio. Nella loro cultura c’era il forte ricordo di una terra circondata dal mare. Colui che insegnò loro a coltivare e costruire, quindi in definitiva a porre le basi del vivere civile, era un uomo bianco e con la barba. Quindi dalle caratteristiche decisamente europee.
Quetzalcoatl era arrivato dalla stessa direzione da cui poi giunsero anche gli spagnoli. Ma se tra la Spagna e le coste americane si fosse trovata un’altra isola? Sono tutte pure congetture, ma le coincidenze sono davvero curiose. A partire dai due nomi così simili: Aztlán e Atlantide.
Ce n’è abbastanza per dire che il mitico continente di Platone, che in tanti si affannano a definire puramente inventato, tanto inventato poi non sia. Ne troviamo indizi continuamente, come in un giallo appassionante. Se anche il luogo da cui vennero gli Aztechi non fosse Atlantide certo è che restano tanti punti oscuri nella storia delle popolazioni antiche. Punti che nessuno ha mai saputo colmare, ma che in certi casi sembrano collimare come in un affascinante mosaico.
Se il Mito affonda nella Storia
Molto spesso liquidiamo le storie tramandate dai popoli del passato come “miti e leggende”. Pensiamo che il loro scarso grado di evoluzione li portasse sempre a dare descrizioni fantasiose della realtà. Ma sappiamo anche che, dietro ad un racconto leggendario, molto spesso si cela una verità che non è meno vera solo perché noi l’abbiamo dimenticata.
Osservando i disegni così ben fatti del Codex Boturini vediamo raccontata per immagini una vicenda del tutto plausibile. La nostra intelligenza è libera di dare le risposte che crede più opportune alle domande che legittimamente si pone. Non è forse un caso che l’ignoto artista non abbia usato parole scritte ma solo figure. Forse voleva che fossimo noi a riempire gli spazi bianchi.