Per l’Uomo moderno il cielo e le stelle non sono così appassionanti come lo erano per l’Uomo Antico. Ti sei mai chiesto perché? La prima, semplicistica spiegazione che possiamo trovare è che oggi noi non riusciamo più ad osservarli, non ad occhio nudo. L’inquinamento luminoso ci tiene celato gran parte del meraviglioso spettacolo del firmamento. La seconda spiegazione è invece un po’ più complessa e attiene all’archeoastronomia. Il Disco di Nebra, gli Antichi e il Cielo sono gli elementi che ci aiuteranno a spiegare l’affascinante legame tra noi, piccoli uomini, e gli eterni astri luminosi.
L’archeoastronomia
L’archeoastronomia è una disciplina piuttosto recente, nata negli anni Settanta. Si avvale di conoscenze che provengono da altre materie per spiegare qualcosa che nel corso degli anni è apparso con sempre maggiore chiarezza agli archeologi. Le popolazioni antiche studiavano con grande accuratezza il cielo notturno. Non lo facevano come fanno i moderni astronomi, per puro interesse scientifico.
Per le popolazioni antiche la posizione degli astri, il sorgere e tramontare di Sole, Luna e Pianeti avevano attinenza con la vita quotidiana. Studiare il loro corso significava dare un senso alla storia dell’Uomo. Per loro l’astronomia era un po’ ciò che per noi oggi è l’astrologia: non solo lo studio asettico di corpi celesti, ma un’interpretazione simbolica del loro movimento, del loro nascere o del loro morire.
Capire quanto profondo fosse il nesso tra uomo terreno e cielo etereo a quei tempi lontani per noi è diventato molto difficile, poiché abbiamo perso la concezione olistica dell’Universo secondo la quale ogni cosa è interconnessa con l’altra. L’archeoastronomia nasce allora per tentare di recuperare un retaggio ormai lontano ma che ci affascina con la sua straordinaria precisione.
Le Piramidi e Stonehenge
I due esempi più banali che ci vengono in mente quando si parla di archeoastronomia sono le Piramidi e Stonehenge. Le Piramidi egizie sono allineate con i punti cardinali: i loro quattro angoli seguono il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest con una precisione elevatissima. Gli studiosi ancora non sanno spiegarsi come i costruttori di quei tempi potessero avere conoscenze così accurate. Sono state fatte molte ipotesi, nessuna del tutto soddisfacente.
Lo stesso si può dire del sito anglosassone di Stonehenge. Sappiamo che il circolo di pietra è allineato per cogliere il primo raggio di sole al solstizio d’estate. Non sappiamo a cosa servisse o come sia stato costruito, e neppure quando, non con inconfutabile certezza. Quello che è certo è che gli uomini che lo hanno eretto vedevano nella volta stellata molto più di quello che vediamo noi.
Tutte le popolazioni più antiche hanno eretto monumenti che ci fanno capire quanto per loro fosse non solo importante, potremmo dire necessario, studiare i movimenti astrali. Il cielo che osservavano loro era un po’ diverso dal nostro, ma non dobbiamo pensare che lo osservassero con timore e superstizione, tutt’altro. Purtroppo però la reale ampiezza della loro visione del cosmo ci è ormai inattingibile: le nostre menti scientifiche si rifiutano di vedere negli astri altro che corpi gassosi o rocciosi vaganti nel nulla.
Il Disco di Nebra
A rendere ancora più appassionante questo già intrigante quadro complessivo si aggiunge un ritrovamento effettuato in tempi piuttosto recenti in Germania. Il Disco di Nebra è rimasto nascosto per millenni per tornare a palesarsi al mondo nel 1999, quando Henry Westphal e Mario Renner erano a “caccia di tesori” per poi rivenderli sul mercato nero.
Stavano scavando vicino alla città di Nebra, nella Foresta Seigelroda nello stato di Sassonia-Anhalt. Qui trovarono un piccolo tesoro, composto da bracciali, due spade, due bottigliette, e uno strano disco. Per loro fu facile rivendere il tutto ad un prezzo favoloso: un milione di marchi, pressappoco 500 mila euro. Nel 2002 il tesoro fu acquistato dall’archeologo Herald Meller che collaborava con la Polizia. Finalmente i reperti furono restituiti allo Stato.
E soprattutto fu possibile cominciare a studiarli, specie il disco, che appariva un reperto molto curioso. La datazione dice che fu seppellito nel 3600 avanti Cristo. Non sappiamo però quando fu costruito, né da chi, visto che appare decisamente troppo sofisticato per gli uomini dell’età del Bronzo. Si compone di infatti di una base di bronzo (diventata di colore verde per via del processo corrosivo) e di inserti in oro, ancora luminosi come se appena fatti.
I vari test eseguiti dimostrano che i materiali sono stati estratti da miniere tedesche e che quindi la manifattura è europea. Dare una datazione precisa è però impossibile. Ma veniamo all’aspetto più affascinante di tutti, ovvero a ciò che con l’oro viene raffigurato su questo disco di 32 centimetri di diametro.
La Barca del Sole, la Luna, le Stelle
Gli inserti in oro, secondo quanto hanno dedotto gli studiosi, dovrebbero raffigurare la Luna, il Sole, le Pleiadi e altre stelle. In basso c’è un arco che raffigura la “Barca del Sole”, ovvero figurativamente il percorso dell’astro diurno in cielo durante l’anno. I due archi alle estremità raffigurano invece l’orizzonte per segnare solstizi ed equinozi. Qui sotto c’è la spiegazione che ne ha dato la dottoressa Miranda Aldhouse Green dell’Università di Cardiff (Regno Unito).
Le scritte sono in tedesco: a parte i nomi delle stelle (Orione, Deneb, Andromeda, etc) riconoscibili, gli altri sei oggetti importanti sono La Luna e il Sole, i due archi, le Pleiadi e la Barca del Sole (in basso). Secondo la dottoressa Green questo disco era un accurato calendario solare e lunare che, posizionato sulla sommità del monte su cui è stato ritrovato, serviva a determinare equinozi e solstizi.
Secondo altri studiosi, che ritengono impossibile che questo manufatto possa essere opera di uomini dell’Età del Bronzo, si tratta solo di un oggetto votivo destinato ad essere offerto agli Dei. Questo si inserisce in una certa ottica del mondo antico, secondo la quale i nostri progenitori erano dei barbari incivili. In verità, la presenza della barca del Sole indica una chiara correlazione con la cultura egizia e il mito del dio Horus.
Chi ha costruito il Disco di Nebra
Eccoci allora di fronte ad un altro degli enigmi che ci pone il passato e che l’archeoastronomia cerca di sciogliere. Chi è che ha costruito questo disco, che conoscenze possedeva? A cosa serviva davvero il disco? Quando è stato costruito? Ancora una volta non possiamo che fare delle supposizioni, che per lo più possono essere errate. Questo perché, semplicemente, non possiamo ragionare sugli stessi presupposti che hanno condotto alla realizzazione di questo incredibile, splendido manufatto.
Il Disco di Nebra oggi è stato inserito all’interno della lista dei reperti e siti considerati dall’UNESCO “Memory of the World” (memoria del mondo), ed è esposto al Museo Regionale di Preistoria di Halle. Memoria del mondo: memoria perduta, purtroppo, perché nessuno di noi osserverebbe più con tanto interesse quel cielo notturno. E non è solo perché adesso abbiamo metodi più sofisticati per segnare il tempo, o per conoscere la nostra posizione.
Magari un tempo l’Uomo ricordava con maggiore chiarezza da dove è venuto. Magari guardava al cielo di notte perché in mezzo a tutte quelle stelle che vedeva, e che noi non possiamo più vedere, ritrovava la strada verso casa. E se noi, nel Disco di Nebra, o in altri reperti dell’archeoastronomia, continuiamo a cercare una conferma al nostro credo scientifico, continueremo a scontrarci contro un muro che ci impedisce di oltrepassare i confini del tempo e tornare a quando eravamo solo Figli delle Stelle.