Qualche anno fa la leggenda dei teschi di cristallo è tornata alla ribalta grazie ad un film che aveva come protagonista l’archeologo dell’avventura per eccellenza, Indiana Jones. Come spesso accade, la verità è molto più intrigante della fantasia: perché l’alone di mistero che ammanta questi manufatti è ben lungi dall’essere dissolto. Raccontare la loro storia e la loro origine è un po’ come ricostruire un complesso puzzle a cui, alla fin fine, manca sempre un pezzo. Proviamoci lo stesso.
Cosa sono i teschi di cristallo
I teschi di cristallo sono esattamente quello che dice il nome. Si tratta di sculture, solitamente a grandezza naturale, che riproducono un cranio umano. Ognuna di esse è ricavata da un unico cristallo di quarzo. Il cristallo di quarzo è un minerale molto abbondante in natura che si trova di solito in blocchi di grandi dimensioni.
I teschi di cui si conosce l’esistenza sono numerosi, ma sono 13 quelli di maggiori dimensioni e di particolare bellezza. Alcuni fanno parte di collezioni private e sono spariti dalla circolazione già da un po’. Altri invece si trovano esposti in prestigiosi musei, ad esempio a Londra, a Parigi, a New York.
Il ritrovamento di questi pezzi si colloca tra i primi anni Venti del secolo scorso e gli anni Sessanta. Rispetto alla loro origine, esistono due versioni diverse. C’è chi dice che si tratta di antichi manufatti precolombiani, probabilmente maya, usati durante i riti sacri. Per altri sono sofisticati pezzi di gioielleria del XIX secolo.
Dire quale delle due versioni sia quella vera è pressochè impossibile, per un motivo molto semplice: non si può datare il cristallo. Le deduzioni che sono state fatte, in un senso e nell’altro, si basano su altre osservazioni. A tutti gli effetti, però, ognuno è libero di credere a ciò che gli piace di più. Cerchiamo però di enumerare qualche fatto.
Il teschio del Destino
Raccontiamo la storia del più noto dei teschi di cristallo, quello che lo stesso scopritore definì pomposamente “Skull of Doom“, il Teschio del Destino. Si tratta di un oggetto di 5 chili, fatto di cristallo incolore (altri invece hanno sfumature colorate). Alto 17 centimetri, profondo 21, è chiamato teschio Mitchell-Hedges poiché fu rinvenuto da Anna Mitchell-Hedges, figlia adottiva dell’archeologo Frederick Albert Mitchell-Hedges.
L’uomo stava eseguendo degli scavi nel sito archeologico di Lubaantum, nell’Honduras britannico, oggi Belize. Lubaantum era un’antica città maya che appariva essere stata abbandonata all’improvviso, così come è accaduto a molti altri insediamenti di questa popolazione precolombiana. Anna notò, ai piedi di un edificio, qualcosa che brillava. Trovò il teschio.
Una curiosità di questo manufatto è che ha la mandibola mobile: Anna la troverà qualche giorno dopo, nello stesso posto o giù di lì. Conserverà il teschio fino alla sua morte, avvenuta quando era ultranovantenne. Secondo le parole sue e di suo padre il teschio era stato reso così levigato dalla mano paziente degli uomini che per 150 anni lo avevano lavorato con la sabbia per renderlo liscio e lucente.
Inoltre, secondo l’archeologo il teschio veniva usato durante i rituali maya come oggetto parlante. Secondo lui era il ricettacolo di ogni male: se il sacerdote maya invocava la morte attraverso di esso, inevitabilmente la morte sarebbe sopraggiunta per il malcapitato.
La leggenda dei 13 teschi
Circola una diffusa voce sul teschio del Destino e sugli altri, ovvero che siano la materializzazione di un’antica profezia maya. Esistono 13 teschi, che contengono tute le conoscenze del mondo. Quando il mondo starà per finire saranno loro, se allineati correttamente, a consentire al genere umano di sopravvivere.
Molti dicono che non vi sia traccia, in realtà, di questa profezia maya nei reperti che possediamo. Certo è che nel corso degli anni molti sensitivi, e non solo, si sono fatti affascinare dai teschi di cristallo. Chi li ha osservati da vicino dice che emanano una speciale aura, che a volte emettono anche una nube di luce, come la luna quando è cattivo tempo. Una donna assicura che il suo teschio l’aveva guarita, prendendo il suo male (un tumore al cervello) su di sè.
Il teschio più “chiacchierato” è quello che per molti anni è stato conservato al “Museum of mankind” di Londra. I custodi non volevano passarci la notte insieme e lo coprivano un panno nero. C’è chi dice di averlo visto muovere nella sua teca. oggi quel teschio si trova al British Museum ed è stato dichiarato un falso.
Accurati esami hanno infatti provato che per realizzarlo sono stati usati strumenti moderni, come si denota da dei solchi rilevati in zone poco visibili usando sofisticate attrezzature. Di contro, quando nel 1970 la Hewlett Pakard esaminò il teschio Mitchell-Hedges, disse che quell’oggetto “non sarebbe nemmeno dovuto esistere”.
Cosa dicono scienza e archeologia
L’ipotesi più accreditata è che tutti i teschi in circolazione derivino da un laboratorio di gioielleria tedesco, e che poi siano stati commercializzati da un abile venditore francese, Eugene Boban. Altro elemento che smentirebbe l’origine maya dei manufatti è che il quarzo usato per alcuni di essi in realtà proverrebbe dal Madagascar.
Quindi ci troviamo di fronte alla solita bufala ordita da qualche buontempone, come tanto spesso la scienza ufficiale ama liquidare ciò che non trova una spiegazione immediata alla luce della mera razionalità. Una bufala davvero complessa: comunque per realizzare questi eccezionali pezzi di gioielleria c’è voluto non poco lavoro.
Resta l’ultima ipotesi da mettere sul piatto. Se i teschi non sono maya non vuol dire che non siano antichi. Potrebbero essere molto, molto più antichi di quanto non si creda: potrebbero essere vestigia della perduta Atlantide. Gli atlantidei potevano possedere attrezzature che non immaginiamo, e di certo l’uso dei cristalli, i cui poteri energetici sono ben noti anche a noi contemporanei, era da loro contemplato.
Ne parla Edgar Cayce, il quale addirittura sostiene che dai cristalli il popolo di Atlantide potesse trarre tutta l’energia di cui aveva bisogno. Alcuni dei veggenti che hanno potuto osservare i cristalli dicono che al loro interno si vedono immagini della storia del genere umano, che siano quindi dei “telescopi” che consentono di scoprire cose molto distanti da noi.
Perché allora ci si rifiuta di quanto meno di guardare? Perché, probabilmente, si teme quello che si potrebbe vedere.
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